Parte dalla Lombardia il taglio sui servizi sanitari

La Regione impone agli ospedali il taglio delle assunzioni. Medici preoccupati: “dovremo dire ai pazienti che abbiamo finito i farmaci”.«Dovremo negare le cure ai malati, rimandarli a casa?». Negli ospedali i medici sono perplessi, sconcertati, addirittura furiosi. Fino all’altro ieri, hanno detto loro che ogni reparto doveva lavorare di più. Che bisognava fare più ricoveri, più interventi, più esami diagnostici. Era la «produttività». Ora si fa marcia indietro. Tutto da rivedere. La produttività tramonta. Ora bisognerà che i reparti lavorino di meno, in modo che gli ospedali rientrino nel «tetto» di produttività stabilito dalla delibera regionale 12287 del 4 marzo scorso. Una delibera complessa come una Finanziaria, ma dal significato inequivocabile: se un ospedale lavora di più (e conseguentemente fattura più prestazioni alla Regione), l’extra non verrà pagato. In questi giorni, il direttore generale della sanità regionale, Carlo Lucchina, ha anche mandato ai direttori generali degli ospedali una lettera-memorandum: il costo del personale deve scendere dell’1 per cento; la spesa per i farmaci usati in ospedale deve calare del 13 per cento (e non faranno più capitolo a parte i farmaci del cosiddetto «file F», cioè i costosi farmaci necessari per i malati di cancro, i malati di Aids, i malati di artrite reumatoide), dovrà calare il costo di servizi come la pulizia, la fornitura dei pasti, i magazzini. In totale, bisognerà che il livello dei costi cali dello 0,54 per cento rispetto al budget 2003 comunicato in novembre: un livello di spesa complessivo di 12.739 milioni di euro (24.665 miliardi di vecchie lire). Qualche manager confida di riuscirci grazie alla razionalizzazione della spesa, ma molti sono preoccupati. Ed è in piena tempesta il settore della sanità privata accreditata, che teme di veder calare la cortina di ferro sui piani di sviluppo. L’Aris, che riunisce gli ospedali religiosi, ha firmato il contratto con la Regione, ma l’Aiop ancora sta discutendo. Negli ospedali pubblici, basta chiamare qualche primario per avere la misura dello sconcerto. Si parla di risparmi feroci da praticare nei reparti di oncologia (-30%) , di infettivologia (-20%), di reumatologia (-10%). Per ora sono voci non confermate, e con grande probabilità ricollegabili ai già ricordati farmaci del «file F», che non saranno più pagati a parte («sterilizzati», nel linguaggio contabile) e che invece entreranno a far parte del bilancio normale, ma è un problema che desta molta preoccupazione, perché può andare a incidere sulla qualità delle cure. E «lavorare di meno» per non far spendere la Regione rischia di negare a una quota di malati proprio l’accesso alle cure migliori, nei centri di eccellenza che stanno tanto a cuore al ministro della Salute, Girolamo Sirchia, ma anche al presidente della Regione, Roberto Formigoni. Sostengono i primari: «Si sono fatti dilagare i centri specialistici della sanità privata, non si è avuto il coraggio di chiudere ospedalini o centri mediocri, e adesso si tira giù la claire in modo indiscriminato . Ci dovremo forse comportare come fornai, e dire ai malati che il pane è finito?». Inevitabilmente, si dovrà fare una scelta tra i malati da accettare e quelli da rinviare: «Se l’idea-base è quella di scoraggiare l’eccessiva richiesta, come i malati che vengono in ospedale dopo aver visto Elisir alla tv, su una cosa siamo decisi: dobbiamo essere noi a scegliere. In base a criteri clinici, e non di brutale risparmio».