Mano nella mano per la sanità pubblica

La prima volta dei medici da undici anni a questa parte. Era dal 1992 che i dottori non manifestavano uniti. Ma grazie al ministro della salute Girolamo Sirchia si sono ricompattati. E questa volta per strada, in difesa del Servizio sanitario nazionale, c’erano anche infermieri, pensionati e bambini. Insomma la catena umana di dieci chilometri, da Piazzale Ostiense a Piazza del Popolo, organizzata per ieri mattina a Roma da una quindicina di sigle sindacali, dallo Spi Cgil alla Uil, alla Anaao Assomed, è stata un successo clamoroso. Almeno in 20 mila, arrivati da tutta Italia, hanno indossato camici e fratini con la scritta rossa «diamoci una mano per il Servizio sanitario nazionale», e a mezzogiorno hanno formato la catena che ha attraversato la città mandando il traffico in tilt. Ed erano così tanti che per entrare tutti nel percorso hanno dovuto fare girotondi intorno a palazzi o fontane, come è accaduto a piazza Esedra. Tra gli oltre 20 mila accorsi in piazza è arrivata di buonora anche l’ex ministro della sanità Rosy Bindi. «Il governo si renda conto – ha commentato la Bindi – che non siamo disposti a veder distruggere una conquista fondamentale come il sistema sanitario pubblico ad opera di un ministro virtuale, che passa più tempo a Domenica In che a tentare di risolvere i problemi della sanità italiana». Analisi corretta, visto che la protesta di ieri aveva un chiaro valore di condanna della politica del governo. Nel manifesto dell’iniziativa infatti c’erano tre «No»: uno per lo smantellamento e il sottofinanziamento del servizio sanitario pubblico, uno per la devolution e l’ultimo per Sirchia e la sua criminalizzazione dei medici. Con dottori e cittadini si sono schierati anche Ds eVerdi, che si uniscono alla richiesta di dimissioni del ministro della salute. «Ai medici – hanno affermato Livia Turco, responsabile welfare e Silvio Natoli, responsabile sanità dei Ds – va il nostro sostegno e un ringraziamento a nome di tutti i cittadini che, nel nostro paese, possono accedere ai servizi sanitari in ragione dei loro bisogni e non del loro reddito». La catena umana, ha commentato Luana Zanella, deputata verde della commissione Affari sociali, «è una protesta contro le scelte del governo Berlusconi che vuole imporre una sanità che non piace ai cittadini». I promotori della contestazione almeno per un giorno hanno potuto cantare vittoria. Hanno parlato di «grande successo» il segretario confederale della Cgil, Achille Passoni, il segretario nazionale delle Fimp Giuseppe Mele e Marinella D’Innocenzo, presidente dell’Ipasvi. L’unica voce fuori dal coro sembra quella di Sirchia. «Non ho capito a cosa è finalizzata la manifestazione dei sindacati medici» ha commentato il ministro della salute. «Forse ne dobbiamo fare un’altra», ha risposto l’addetta stampa dell’Anaao Assomed, Silvia Procaccini. «Sirchia si sorprende sempre – fanno notare dalla Cgil – il problema è che lui è convinto che la sanità si gestisca in modo unilaterale, come un’azienda, e ignora che la salute è un diritto garantito dalla Costituzione». Per Salvo Calì, segretario nazionale del sindacato di medici Cumi-Aiss, a maggior ragione dopo ieri, Sirchia «dovrebbe invertire la rotta o mettersi da parte». Il ministro invece ha preferito esprimere grande soddisfazione per l’intesa raggiunta ieri sera alla Conferenza Stato-Regioni sul Piano sanitario nazionale 2003-2005. Senza specificare, ovviamente, che le regioni hanno ribadito che i livelli essenziali di assistenza non possono ritenersi una variabile dipendente rispetto alle risorse economiche e che rigettano l’idea che possano essere abbassati per rientrare nella spesa prevista dal piano.