6 unità di sangue infettate dall’epatite C.

Sei unità di sangue infettate dal virus dell’epatite C su 1.774.624 unità di sangue raccolte. Sembra poca cosa, ma se fossero state trasfuse avrebbero causato da uno a sei nuovi malati di epatite C, che avrebbero inoltre rischiato di sviluppare cirrosi epatica e cancro. Se le sacche infette fossero servite per produrre emoderivati, i danni sulla popolazione sarebbero stati maggiori, perché ogni unità di plasma viene miscelata con altre. Le sei unità infette sono state scoperte nel corso dei 12 mesi di sperimentazione di una nuova tecnica, chiamata NAT, acronimo di Nucleid Acid Test, obbligatoria da un anno per tutti i centri che raccolgono donazioni di sangue. NAT, è un metodo diagnostico capace di riconoscere il genoma di un agente virale – come quello dell’epatite C – a brevissimo tempo dal contagio. Con la tecnica tradizionale, detta Elisa, che permette l’identificazione dell’infezione cercando gli anticorpi, non era certo che il risultato negativo dei controlli fosse reale, perché gli anticorpi si rendono visibili soltanto dopo 70 giorni dal presunto contagio. Con la tecnica NAT, invece, il virus è identificabile già dopo 12 giorni. Si riduce, così, il “periodo finestra”, il tempo in cui l’infezione sfugge ai test. «La trasfusione, quindi, oggi, è più sicura di prima, – dice il dottor Antonio Flores del centro trasfusionale dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano – ma non potremo arrivare a test ancora più precoci e precisi, perché 12 giorni è il tempo minimo perché l’agente virale si riproduca nell’organismo e si renda visibile al metodo NAT». Ma la sperimentazione ha permesso anche di verificare NAT sul virus HIV. «Alcuni centri trasfusionali hanno usato spontaneamente NAT anche per scovare il virus dell’Aids – dice Claudio Velati, direttore del dipartimento trasfusionale di Sondrio, consigliere della Società italiana di medicina trasfusionale -. Su 826.922 unità testate abbiamo trovato un caso di infezione da HIV, sfuggito al metodo Elisa. La validità del test, quindi, è inoppugnabile. La parola ora spetta alle istituzioni».