Successo e fallimento negli studi vaccinali

I primi vaccini contro l’HIV “ad esito positivo” probabilmente saranno soltanto parzialmente efficaci. Comprendere e spiegare che cosa questo significhi sarà una sfida. Questo documento è stato scritto per aiutare gli attivisti e le associazioni che operano nel campo HIV/AIDS affinché comprendano meglio questa sfida.
Non c’è una soluzione immediata. L’idea di un vaccino è legata ad uno dei successi più grandi della medicina moderna, l’eradicazione del vaiolo. La poliomielite, oggi come oggi, è quasi eradicata e parecchie altre malattie, come il morbillo, potrebbero esserlo se solo vi fosse la volontà politica.

La realtà dei vaccini è spesso differente. Molti sono soltanto parzialmente efficaci. La vaccinazione per l’influenza è ripetuta ogni anno mentre versioni differenti del virus circolano fra le popolazioni vulnerabili. Il BCG salva molte vite proteggendo i bambini contro la malattia del cervello causata dalla tubercolosi, ma non protegge gli adulti dalla tubercolosi polmonare. I vaccini contro la meningite proteggono da alcuni tipi di batteri ma non da altri, riducendo così il rischio della malattia senza tuttavia rimuovere l’esigenza di vigilanza e del trattamento iniziale di quelli infettati.

Gli studi su animali, e gli studi clinici, indicano che i primi vaccini che funzioneranno contro l’ AIDS saranno parzialmente efficaci. Tali vaccini dovranno essere utilizzati assieme ad altre strategie per ridurre il rischio di infezione. Per il trattamento dell’HIV, quasi certamente dovranno essere utilizzati assieme ai farmaci antiretrovirali.

Anche se domani avessimo un vaccino completamente efficace non esiste la capacità per fornirlo a tutti. Un vaccino altamente efficace contro l’epatite B è stato disponibile per vent’anni, senza che la maggior parte delle persone a rischio avessero accesso al vaccino. Così, per quanto “buono” possa essere un vaccino, noi lo dobbiamo pensare come un estensione delle opzioni disponibili per la prevenzione e/o il trattamento, e non come una soluzione al problema. Il suo valore reale dipenderà da molti fattori, oltre alle sole proprietà biologiche del vaccino, ma sarà sempre molto difficile sviluppare il supporto politico per produrre, distribuire ed usare un tal prodotto prima che quelle proprietà siano conosciute.

È probabile che una serie di candidati vaccinali, che generano risposte immunitarie differenti, dovranno essere confrontati in studi clinici su larga scala. Come queste valutazioni possano essere fatte è il tema principale di questo documento. Gli studi clinici su larga scala sono essenziali per rispondere alla domanda se un qualunque vaccino funzioni. Per rispondere alla domanda se uno funziona meglio di un altro saranno necessari studi clinici ancora più grandi, con enormi implicazioni per le strategie di prevenzione e le opzioni di trattamento per molte migliaia di persone che vivono con l’HIV per molti anni a venire.

Gli usi preventivi e terapeutici di un vaccino devono essere considerati separatamente.

La maggior parte dei vaccini sono dati alla gente prima che siano entrati in contatto con un organismo che causa la malattia, per impedire che la malattia sia loro trasmessa. Questo uso di un vaccino è detto “preventivo”. Funziona stimolando una risposta immunitaria protettiva, che può a volte essere misurata. Oggi, sempre più, si stanno sviluppando vaccini per direzionare le risposte immunitarie contro le malattie già presenti nel corpo, ad esempio il cancro o infezioni croniche. Questo uso di un vaccino è detto “terapeutico”. Significa che il vaccino funziona come trattamento medico e può dover essere usato congiuntamente ad altri trattamenti. Un vaccino preventivo altamente efficace (per esempio contro l’ epatite B) non è di nessuna utilità una volta somministrato a qualcuno già infettato. È ugualmente possibile che alcuni vaccini utilizzati ad uso terapeutico saranno inutilizzabili come vaccini preventivi, per esempio, perché il rischio di effetti secondari-collaterali, che è accettabile quando si affronta una malattia a rischio di vita, è troppo alto rispetto a quando la gente è, al contrario, in buona salute. Come, allora, sapremo se un vaccino funziona o quanto bene funziona? E come possiamo interpretare il successo o il fallimento di un vaccino?

Il successo ed il fallimento per un vaccino preventivo

Ci sono tre modalità principali in cui un vaccino preventivo potrebbe funzionare contro l’ HIV/AIDS.

1. Impedendo l’ infezione da HIV o eliminandola dal corpo.
2. Prevenendo o rallentando la malattia, malgrado l’infezione continui ad essere presente.
3. Impedendo la trasmissione della malattia, malgrado l’infezione continui ad essere presente.

Una parola sulla “sicurezza”: un prodotto deve rispondere a standard molto alti di sicurezza per essere accettabile come vaccino preventivo. Ciò dipende dalla produzione “pura e consistente” e da un programma attento di test di sicurezza, in primo luogo su animali ed in seguito sugli uomini. Un vaccino per l’HIV deve in particolare essere sicuro per la gente che vive con il virus dell’AIDS in corpo (una condizione che non è rispettata da alcuni vaccini attuali contro altre malattie), perché non sarà possibile, in popolazioni ad alto rischio di infezione, accertarsi che tutti i destinatari del vaccino siano HIV-negativi. Queste considerazioni di sicurezza sono comunque importantissime ( in questa sede non saranno discusse ulteriormente).

Un vaccino per prevenire l’infezione da HIV

Per valutare la prevenzione dell’infezione da HIV, tutto quello che serve è un modo certo per distinguere le persone che sono state vaccinate e non hanno infezione dalle persone che sono state vaccinate ed hanno l’infezione.

Ad alcune persone a rischio è somministrato un vaccino, ad altri, scelti a caso, è somministrato “qualcos’altro”, senza conoscere che cosa hanno ricevuto. “Qualcos’altro” può essere un placebo – un vaccino inattivo- o un vaccino contro un’altra malattia, per esempio contro il tetano. Alla conclusione dello studio le percentuali di infezione sono confrontate fra i due gruppi e le informazioni inoltre sono condivise con i partecipanti. Per motivi etici, ad entrambi i gruppi devono essere fornite informazioni e mezzi (supporti) per evitare il contagio con l’ HIV, per esempio profilattici: in questo modo lo studio realmente può verificare la combinazione di un vaccino con altri provvedimenti di prevenzione. Se lo studio è propriamente svolto, tutti i partecipanti ridurranno il loro rischi di infezione al di sotto del livello a cui sarebbero stati se non fossero entrati a far parte dello studio.

Successo: se il vaccino funziona, coloro che sono stati vaccinati durante lo studio saranno stati a rischio più basso rispetto a coloro che non erano stati vaccinati. “Di quanto” il loro rischio è ridotto è una misura dell’efficacia del vaccino. Alle persone che non hanno ricevuto prima il vaccino, ma che sono rimasti HIV negativi, dovrebbe ora essere offerto il vaccino.

Fallimento: molto probabilmente, un vaccino che fallisce sarà semplicemente inutile. Un vaccino con effetti positivi che però sono soltanto di breve durata è inoltre poco utile. Nel caso più peggiore per un vaccino infruttuoso è possibile che esso addirittura promuova l’infezione o la malattia. Con alcuni vaccini, basati su forme indebolite ma vive del virus che causa una malattia, è molto raro, ma possibile, che quel virus recuperi la relativa capacità di causare la malattia. Ciò non accadrà con i vaccini attuali o previsti per l’ HIV, che sono fatti in un modo differente (i vaccini possono anche, naturalmente, essere rifiutati per ragioni di sicurezza che possono emergere in tutta la fase di studio).

Un vaccino per prevenire o far ritardare la malattia

Questo richiede un follow-up delle persone che diventano infette , malgrado la vaccinazione. Negli studi animali, è stato indicato che i vaccini possono cambiare il corso della malattia in scimmie esposte ai virus simili all’ HIV, che causerebbero al contrario la malattia mortale entro alcuni mesi. Il problema principale per gli studi clinici è che il corso normale della malattia dell’ HIV in adulti prevede un intervallo di 5 – 10 anni fra l’infezione e la malattia grave. Non possiamo permetterci di attendere questo intervallo di tempo, per sapere se un vaccino funziona.

In animali, il ritardo della malattia è associato a livelli molto bassi di virus circolante (carica virale). In esseri umani, questo inoltre è collegato strettamente alla velocità con cui la malattia progredisce, come visto attraverso la perdita di cellule T CD4+ circolanti. Quando la carica virale è soppressa dai farmaci, questo anche impedisce o inverte la progressione della malattia.

Di conseguenza, in pratica, gli studi per valutare i vaccini per impedire il decorso della malattia valuteranno la carica virale e i CD4 nella gente che è stata infettata malgrado la vaccinazione. Paragoneranno questi risultati a carica virale e CD4 di persone infettate, ma non vaccinate. Anche questo può essere difficile da valutare, se la pratica clinica si orienta verso il trattamento delle persone con l’HIV molto presto nel corso dell’infezione, nascondendo l’effetto del vaccino (se questo accadrà o meno dipenderà sia dai miglioramenti nei trattamenti che dagli studi clinici nell’infezione iniziale).

Successo: abbassamento della carica virale, anche prima del trattamento, quando la gente è vaccinata prima che siano infettati dal virus. Il successo potrebbe essere inoltre valutato come risposta migliore al trattamento. Un aspetto che si può presentare è la separazione di una differenza statisticamente significativa (un vaccino con un effetto) da una differenza clinicamente utile (abbastanza effetto da giustificare il fornirlo alle persone)

Fallimento: questo è più difficile da definire. Se un vaccino protegge qualcuno dall’infezione, ma non altri, coloro che non sono protetti possono essere quelli con la più bassa risposta immunitaria efficace al virus. Quindi, chi è infettato malgrado la vaccinazione può avere un più alta carica virale a causa di un effetto di selezione e NON perché il vaccino sta nuocendo. Gli studi clinici possono avere bisogno di essere disegnati per valutare il primo obiettivo (prevenzione dell’ HIV), così come la prevenzione della malattia . Soltanto se NÉ L’UNO NÉ L’ALTRO effetto sia riscontrato, allora un vaccino dovrebbe essere giudicato come un prodotto fallimentare.

Un vaccino per impedire la trasmissione

In termini di sanità pubblica, un vaccino che non ha fatto altro che impedire ad una persona di trasmette il virus potrebbe avere un effetto notevole sull’epidemia. Tuttavia, questo potrebbe essere ancora più difficile da misurare che i precedenti tipi di effetti.

Un metodo potrebbe essere reclutare le coppie in cui un partner è vaccinato (o non) ed entrambi i partner sono stati testati prima e durante lo studio clinico. Se gli individui fossero ripartiti con scelta casuale (randomizzati) al vaccino o al placebo allora in alcune coppie entrambi i partner potrebbero essere nello stesso gruppo, in altre ci sarebbe una differenza. L’analisi sarebbe complicata, particolarmente se ci fosse incertezza circa chi in primo luogo è stato infettato, in una coppia in cui si infetta l’altro.

Un metodo più realistico ma estremamente ambizioso è la proposta, sviluppata da HIV Vaccine trial Network (Stati Uniti), per studi clinici con randomizzazione ad un livello di community. Si userebbe un disegno di studio in cui le community intere ricevono un vaccino, o non riceverebbero un vaccino, oltre che un programma globale di counselling volontario e di test ed accesso ai trattamenti antiretrovirali. Il risultato sarebbe valutato controllando i numeri di nuove infezioni all’interno di ogni comunità.

Oltre la trasmissione sessuale, il disegno di studi clinici più probabile potrebbe essere mirato sull’ uso di vaccini per impedire la trasmissione materno-fetale, particolarmente durante l’allattamento. Un vaccino dato alla madre dopo la nascita potrebbe essere meno pericoloso che uno dato durante la gravidanza, anche se il numero di donne che diventano HIVpositive mentre allattano possa essere limitato. Qui c’è la possibilità che gli anticorpi vaccino-indotti, trasmessi dalla madre al suo bambino, possano aumentare il livello di protezione contro il virus della madre, se la madre diventasse HIV-positiva durante la gravidanza o durante l’allattamento. L’uso dei vaccini in donne con HIV nella speranza di aumento della protezione per i loro bambini, se allattati o no, già è stato l’argomento di studi clinici, anche se questi finora non sono stati disegnati per esaminare se funzioni oppure no.

Le implicazioni sociali di provare a reclutare persone per studi clinici che prendono in considerazione la trasmissione sessuale o attraverso l’ utilizzo di droga per via endovenosa sono poco chiare. I livelli della trasmissione all’interno delle coppie che sono state sottoposte a counselling insieme sulla prevenzione dell’ HIV ed informate sullo stato sierologico dell’altro probabilmente sono bassi, e richiederebbe uno studio su grandissimi numeri. Sarebbe possibile reclutare partecipanti ad uno studio ampio fra le coppie che riconoscono insieme la possibilità di rapporto extra-partner o di scambio di siringhe all’esterno del rapporto? Il disegno di uno studio in questi termini necessiterebbe di studi precedenti sulla probabilità che questo possa accadere e quindi portare all’infezione da HIV, valutata separatamente per gli uomini e le donne in una popolazione eterosessuale.

La randomizzazione a livello di community inoltre solleva difficoltà circa distribuzione giusta del rischio e della capacità specifica delle persone di acconsentire alla randomizzazione ad un trattamento o ad un altro.

L’infettività è inoltre collegata alla carica virale misurata nel liquido seminale, nei liquidi vaginali e latte materno. Di conseguenza, uno studio in cui i campioni appropriati siano raccolti ed esaminati potrebbe fornire alcune informazione rilevanti e la carica virale nel sangue può essere un’indicazione della progressione di malattia.

Successo: prova che partner [HIV-negativi non vaccinati (o bambini)] delle persone con HIV vaccinate sono meno a rischio di diventare HIV positivi che simili partner (o i bambini) non vaccinati. Per molte persone, una riduzione di carica virale nel liquido seminale, nel latte materno o nei liquidi vaginali sarebbe prova sufficiente di un effetto per descrivere che il vaccino risulti efficace e di successo per la riduzione del rischio della trasmissione.

Fallimento: in questo caso, semplicemente, una mancanza di successo, in uno studio che era abbastanza grande e progettato abbastanza bene per rispondere alla domanda.

Il successo ed il fallimento per un vaccino terapeutico

Se un vaccino terapeutico non cura la malattia, o non rimuove l’esigenza di nuovo trattamento di qualunque altro genere, allora può soltanto essere definibile “parzialmente efficace”.

L’obiettivo principale di un vaccino terapeutico parzialmente efficace sarà sempre ridurre la difficoltà del trattamento della malattia e quindi del relativo trattamento in assenza dello stesso. Questo effetto è misurabile in modi differenti. Questo tipo di vaccino è in linea di principio vicino ad un vaccino preventivo che fa ritardare o impedisce la progressione di malattia, eccetto per le considerazioni speciali necessarie per un vaccino unito ad un altro trattamento.

Come obiettivo secondario, potrebbe essere utile per motivi di sanità pubblica se inoltre riducesse il rischio di trasmissione. Perché questo è considerato un ‘obiettivo secondario, nel caso di dare un vaccino alle madri in allattamento? In quanto ci si deve focalizzare sull’ aumento della durata della vita della madre e della qualità della vita così come quello del suo bambino.

Nella teoria, potrebbe essere di grande beneficio impedire la reinfezione di una persona positiva con differenti ceppi dell’ HIV, anche se ci potrebbe essere grande difficoltà nel valutare questo e la relativa importanza clinica.

Un motivo supplementare per dare il vaccino (preventivo) contro l’HIV ad una persona che vive con l’ HIV potrebbe essere il controllo della sicurezza, anche se ci si aspetta che non abbia alcun effetto sulla loro malattia. È importante che lo scopo principale di tutti gli studi clinici sia il fatto che chiaramente tutti i partecipanti possano scegliere liberamente se partecipare o no allo studio.

Un tipico disegno per uno studio con vaccino terapeutico recluta un gruppo di persone con il HIV che sono in trattamento antiretrovirale con successo, con i livelli elevati delle cellule CD4 ma sono bassi i livelli delle risposte immunitarie all’HIV. Un vaccino è somministrato, ad alcune di queste persone, e potrebbe condurre a risposte immunitarie rilevabili alle componenti dell’HIV relative al vaccino impiegato. Il trattamento allora è interrotto, sia nel gruppo vaccinato sia nel gruppo di controllo non vaccinato e si osserva, per i partecipanti ai due gruppi, fino a quando il trattamento non debba essere ripreso, secondo i test di verifica prestabiliti.

Poiché un vaccino terapeutico sarà usato generalmente congiuntamente ad altri trattamenti, deve essere possibile, nel disegno di tutto lo studio, distinguere l’effetto della combinazione di vaccino/trattamento da quello del solo trattamento, senza il vaccino.

Quindi gli studi di interruzione di trattamento in cui la persona è vaccinata, prima che il trattamento sia interrotto, non potrebbe dirci se il vaccino abbia avuto qualche effetto, a meno che l’effetto abbia provocato un recupero clinico senza precedenti, senza l’aggiunta di altro tipo di trattamento.

L’interruzione di trattamento aumenta ovviamente un certo numero di rischi, per la salute di una persona con HIV, ma anche per un partner sessuale o per un bambino che sta avendo allattamento, se si verifica un aumento dell’HIV nel sangue ed in altri liquidi che porta all’aumento del rischio della trasmissione.

In alternativa all’interruzione prevista di trattamento, sarebbe possibile reclutare persone in trattamento in una coorte e vaccinare una percentuale di essi, scelta a caso (meglio se studio randomizzato, in doppio cieco e controllato). I gruppi vaccinati e non vaccinati possono allora essere confrontati per la durata in cui rimangono con successo nel loro trattamento. Questo può essere definito come la durata di tempo prima di un cambiamento del trattamento dovuto a carica virale rilevabile. In coloro che si interrompe il trattamento per qualunque altro motivo, esempio la tossicità di un farmaco, sarebbe inoltre possibile confrontare gli individui vaccinati e non, per vedere se la progressione della malattia è ritardata.

Come il far ritardare il cambiamento di trattamento è relazionabile all’obiettivo primario di un vaccino terapeutico? Principalmente perché i cambiamenti fatti per qualunque altro motivo che non siano ridurre gli effetti collaterali tenderanno ad aggiungere difficoltà al trattamento. Più a lungo una persona può rimanere sulla combinazione che ha trovato per lui/lei in modo da avere meno effetti collaterali, più a lungo si può evitare di cambiare verso un’altra combinazione che probabilmente avrà effetti collaterali differenti e più pesanti.

Gli studi su questo genere, tuttavia, necessitano probabilmente di tempi più lunghi e di numeri più consistenti rispetto agli studi con interruzione di trattamento.

Successo: se la difficoltà della malattia, compreso la difficoltà del trattamento, è ridotta con l’uso di un vaccino terapeutico per le persone HIV positive, allora il vaccino terapeutico sarà stato un successo. Questo successo è valutabile come l’occasione di interrompere il trattamento e permettere che il corpo si ristabilisca dai relativi effetti. Potrebbe ugualmente essere valutabile attraverso la persone che possono avvantaggiarsi per più tempo di combinazioni terapeutiche meno tossiche ed più facilmente tollerabili e assumibili. In paesi in cui il costo limita l’accesso agli antiretrovirali, un vaccino terapeutico efficace potrebbe anche permettere alle persone HIV positive di minimizzare il costo del trattamento, poiché le combinazioni terapeutiche di prima linea sono sempre meno costose di quelle di seconda o terza linea. Il controllo dei costi potrebbe anche essere ridotto, se la frequenza degli esami potesse essere ridotta.

Fallimento: se non è possibile indicare che un vaccino abbia un effetto significativo sulla carica virale, livelli CD4 e (soprattutto) sui modelli di altri trattamenti che sono necessari, non vi è giustificazione per fornire a quel vaccino alle persone sieropositive. Ciò rimane vero, anche se un indicatore specifico di laboratorio della risposta immunologica sembra mostrare un risposta in coloro che sono stati vaccinati.

Il successo ed il fallimento di uno studio clinico

L’unico fallimento di uno studio clinico è quando esso non riesce a rispondere alla domanda per il quale è stato disegnato ad hoc. Questo criterio si applica senza considerare il fatto che quello che sia sta studiando possa essere un successo oppure no.