Sars, una battaglia ancora da vincere

Da tempo non si parlava più di Sars. Come se fosse un problema del tutto superato. Una malattia sconfitta per sempre. Anche perché il 5 luglio scorso l’Oms aveva dichiarato che la malattia ha cessato di essere trasmessa. Quella estiva potrebbe però essere stata soltanto una pausa stagionale.A sostenerlo è un rapporto del National Intelligence Council, il think tank strategico della Cia, alla cui stesura ha partecipato il top degli esperti americani, dal premio Nobel Joshua Lederberg al direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Anthony Fauci. «Rimaniamo vulnerabili perché la Sars non è stata affatto estirpata. Ci sono ancora enormi bacini del virus nel mondo animale, non esiste alcun vaccino e gli strumenti diagnostici attualmente disponibili o in fase di sviluppo riescono a coprire solo il 70% dei casi» si legge nel rapporto. Nel frattempo – è scritto – «la Sars potrebbe aver subìto delle mutazioni, e quindi manifestarsi con diversi sintomi e con un altro tasso di infettività e grado di letalità». Con l’influenza. Insomma, quello che molti epidemiologi ed esperti di malattie infettive non hanno mai smesso di temere viene oggi confermato dall’intelligence americana: in autunno la Sars potrebbe riesplodere sulla scena sanitaria mondiale in coincidenza con l’arrivo della stagione dell’influenza. Il che renderebbe molto più difficile l’identificazione e l’isolamento di chi ne è affetto. Da parte loro, dietro le quinte e senza pubblicizzarlo, le autorità sanitarie Usa si stanno preparando a fronteggiare una vera e propria crisi. Sia sul fronte internazionale che su quello locale. «Siamo in stato di allerta e non c’è giorno in cui i massimi vertici del Centro per il controllo delle malattie (Cdc) e dell’Istituto nazionale delle malattie infettive non dedichino energie all’allarme Sars» rivela Scott Harper, epidemiologo del Cdc specializzato in influenza. «È in corso un enorme lavoro di preparazione con le nostre strutture locali ma anche con organismi internazionali e stranieri. Con l’obbiettivo primario di garantire la massima efficienza del sistema di sorveglianza e segnalazione di nuovi casi». Costi altissimi. La più grande paura? I cosiddetti super-spreaders, o super-contagiatori, come il dottore cinese che durante una permanenza di pochi giorni al Metropole Hotel di Honk Kong è stato involontariamente responsabile del contagio di oltre 4mila persone in tre continenti diversi. Una nuova epidemia di Sars, secondo il rapporto del National Intelligence Council, potrebbe avere costi economici e politici altissimi. «A tutt’oggi non c’è nulla che faccia pensare a possibili annullamenti di investimenti o trasferimenti di attività produttive fuori dalla Cina o dall’Est asiatico, ma senza dubbio ci sono multinazionali che stanno rivalutando costi e benefici legati al concentramento di attività in un singolo Paese asiatico. E in caso di una nuova crisi, misure cautelari che finora hanno avuto carattere temporaneo potrebbero diventare permanenti». Si fa l’esempio di produttori tessili che hanno trasferito i propri ordini in Bangladesh, Turchia, India e Pakistan, di grandi aziende elettroniche che hanno spostato la produzione in Malesia e nelle Filippine, di fiere cinesi cancellate, di nuovi ordini tenuti in sospeso, di progetti di espansione rinviati e delle linee aeree asiatiche che hanno chiesto a Boeing e Airbus di rinviare la consegna di nuovi aerei. Il National Intelligence Council ha chiesto agli esperti del settore di prendere in considerazione tutte le possibili variabili – mutazioni del virus, vulnerabilità della popolazione colpita, risposta del sistema sanitario ecc. – e di delineare i tre scenari più probabili, cercando di definire sia i possibili percorsi epidemici che le implicazioni e le conseguenze socio-economiche. Lo scenario più ottimistico. Il rapporto parla di un ritorno autunnale della Sars limitato a epidemie circoscritte in pochi Paesi: «Inizialmente alcuni casi eluderanno il sistema di sorveglianza, poiché ormai si è abbassata la guardia. Le ripercussioni economiche di un allarme Sars dell’Oms probabilmente aumenteranno gli incentivi a nascondere o perlomeno sottostimare gli eventuali casi confermati e alcuni Paesi potrebbero essere tentati di nascondere la recrudescenza. C’è inoltre il rischio che una sorveglianza insufficiente o inefficace all’estero possa facilitare la diffusione della malattia negli Stati Uniti, uno dei grandi punti di passaggio del traffico internazionale proveniente da ogni parte del mondo». In questo scenario il contagio sarebbe però contenuto: «L’attivazione rapida sia a livello locale che internazionale di sistemi di sorveglianza e di contenimento – quarantena inclusa – permetterà di contenere la diffusione del contagio. E nella maggior parte dei Paesi colpiti la sindrome non si trasformerà in una vera e propria crisi sanitaria». Ciò non significa che non ci saranno dei costi. «Anche se l’epidemia sarà circoscritta a episodi sporadici e rimarrà geograficamente contenuta ci saranno comunque conseguenze economiche, politiche e psicologiche. La Cina è il Paese a maggior rischio. Sebbene in questo scenario sia improbabile che gli investitori stranieri decidano di lasciare il Paese, aziende molto esposte in Cina potrebbero indirizzare altrove una percentuale dei loro nuovi investimenti diversificando le proprie attività produttive in altri Paesi. E aziende che hanno già temporaneamente trasferito la propria produzione fuori dalla Cina probabilmente finiranno col rendere permanente quella scelta, mentre governi e aziende di Paesi concorrenti altrettanto probabilmente tenteranno di sfruttare la situazione spingendo le multinazionali che operano in Cina a optare per i loro Paesi». Lo scenario di mezzo. «Epidemie di Sars piuttosto virulente potrebbero scoppiare in uno o più Paesi del Terzo Mondo, provocando più infezioni e più morti che in passato» dice il rapporto. Le zone più povere di Africa, Asia e America Latina sarebbero estremamente vulnerabili a causa delle carenze e inefficienze dei sistemi di sanità pubblica locali. «Anche se fosse circoscritta a poche città, in centri come Kinshasa o Lagos le vittime potrebbero essere numerose, soprattutto tra chi ha già il sistema immunitario indebolito dall’Aids». Sul piano internazionale i danni economici rimarrebbero però contenuti, ad eccezione del settore del turismo e dei viaggi internazionali. Lo scenario peggiore. È l’incubo privato di molti epidemiologi: il ritorno su vasta scala della Sars in tutti i Paesi colpiti la primavera scorsa – Cina, Honk Kong, Taiwan e Canada – e successivamente la sua diffusione negli Stati Uniti, in Giappone, Europa e India. «Anche se il numero iniziale delle persone infette fosse relativamente ridotto, l’impatto economico e le implicazioni politiche sarebbero enormi. Una seconda ondata di Sars in Asia spingerà probabilmente alcune multinazionali a ridurre la propria esposizione nella regione e a diversificarsi in altre zone. La crisi potrebbe portare alcune aziende ad aumentare le scorte e fare meno affidamento su sistemi di just-in-time, facendo salire così i costi di produzione. Se nel contenimento del contagio dovessero chiudere fabbriche e porti, il commercio globale e il flusso di finanziamenti ne risentirebbero fortemente. Un declino significativo del settore manufatturiero cinese riecheggerebbe poi su tutte le economie del Sud-Est asiatico». Questo scenario non risparmia neppure il mondo occidentale: «Lo scoppio di epidemie negli Usa o in Europa avrebbe un impatto sulle attività produttive e sul mondo politico creando scompiglio sociale ed economico». Gli esperti americani non danno cifre precise. Si limitano a dire che «persino i sistemi sanitari dei Paesi più ricchi potrebbero essere sopraffatti da una crisi del genere se avvenisse in coincidenza della stagione dell’influenza» e che il costo economico potrebbe «salire alle stelle». Fin qui i rischi. Ma il rapporto del National Intelligence Council cita anche i possibili rimedi. Prima tra tutti la cooperazione tra i vari organi sanitari nazionali, gli organismi internazionali e i servizi di pronto intervento epidemiologico come l’Eis americano e l’Epiet europeo.