Dibattito tra i tumulti alla festa dell’Unita’

Il resoconto di un contestato dibattito sulle forze di dissidenza interna al regime cubano e sulla promozione del rispetto dei diritti civili nell’isola. Negli anni ’70 – ha ricordato segretario Arcigay Mancuso – il movimento omosessuale italiano gridava inascoltato “Cuba ci castra”.Sabato 13 settembre alla Festa nazionale de l’Unità si è svolto un dibattito dal titolo “Cuba… ci fa male” moderato dal docente universitario ed esperto di America Latina Danilo Manera e a cui hanno partecipato l’on. Marina Sereni, resp. Esteri dei DS, Pietro Marcenaro, segretario regionale dei DS del Piemonte, Donato Di Santo, resp. DS per l’America latina, Luciano Pettinari, della direzione nazionale DS e rappresentante dell’associazione Socialismo 2000, l’economista Ferdinando Targetti e il segretario nazionale Arcigay Aurelio Mancuso.

Fin da subito il dibattito ha subito una dura contestazione da parte di una ventina di appartenenti all’associazione Italia-Cuba che – in una sala stracolma di almeno 150-200 persone – in modo organizzato hanno tentato di impedire il regolare svolgimento del dibattito interrompendo più volte i relatori con urla e schiamazzi.

Il dibattito fa seguito ad un importante seminario svoltosi nei mesi scorsi a Torino – di cui di recente sono stati pubblicati gli atti e a cui partecipò anche l’on. Franco Grillini – che aveva l’obiettivo di precisare la posizione della sinistra riformista italiana rispetto ai rapporti con le forze di dissidenza interna cubana e di denunciare la violazione palese e sistematica dei diritti umani e civili in quel paese, la cui prova evidente è stata nel 2003 l’arresto di 75 dissidenti politici e l’esecuzione di 3 persone che hanno tentato la fuga dall’isola.

Nel corso del dibattito particolarmente applaudito è stato l’intervento del segretario nazionale Arcigay Aurelio Mancuso. “Negli anni ’70 – ha ricordato Mancuso – il movimento omosessuale italiano gridava, inascoltato “Cuba ci castra”. Riassumendo cosi efficacemente come in quel paese, allora mito intoccabile di tutta la sinistra italiana, i nostri fratelli e sorelle cubani fossero incarcerati o esiliati da un regime non democratico. Noi gay, quindi, riaffermiamo che i diritti umani e di libertà non possono essere subordinati rispetto alle conquiste sociali. Nel mondo sono oltre ottanta i paesi, che nel loro codice penale, contengono norme repressive contro i cittadini omosessuali, tra cui la Cina, la Birmania, i paesi islamici, e Cuba. Naturalmente facevano impressione i talebani che condannavano a morte i gay per schiacciamento, ma che dire del “moderato” Egitto che ancora di recente ha emesso condanne ai lavori forzati verso giovani “sospetti di sodomia”. “

“A Cuba – ha proseguito Mancuso – dalla rivoluzione in poi, si sono alternati periodi di feroce repressione con altri di relativa tolleranza. Negli ultimi anni la legislazione è stata addolcita. Non si reprime più ufficialmente l’omosessualità, ma si utilizzano le norme contro la prostituzione (ovvero è vietato dare pubblico scandalo e fare proposte sessuali esplicite) per dar mano libera alla polizia, attraverso grandi retate nei locali frequentati da gay, che sono sempre accompagnate da soprusi d’ogni tipo. Agli inizi degli anni ’90 fu possibile tenere a Cuba una sorta di Gay Pride, ma nel 1997 l’associazione che aveva organizzato l’evento fu sciolta dal regime.”

Mancuso ha poi concluso il suo intervento rilanciando una disponibilità del movimento glbt ad una collaborazione con alcune istituzioni recentemente predisposte dal governo cubano che si dovrebbero occupare di promuovere interventi contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e – di fronte alle contestazioni di alcuni dei presenti – ha sfidato l’associazione Italia-Cuba a invitare l’Arcigay ad un pubblico dibattito di confronto delle reciproche posizioni, ricordando che nei mesi scorsi ciò non è stato possibile ad alcuni esponenti dell’associazione che sono stati interrotti e fischiati per il fatto di aver denunciato le repressioni documentate da associazioni come Amnesty International e di cui non si vuol sentir parlare.

Resta l’amarezza di vedere una parte della sinistra che in Occidente è in prima fila nella rivendicazione delle libertà civili e che quando si tratta di discutere della garanzia delle stesse libertà in un paese “amico” come Cuba, le vede sempre come subordinate alla difesa dei diritti sociali.