Pericoli in corsia: sono 70mila ogni anno le segnalazioni per rischio contagio

Basta una puntura d’ago, un taglio accidentale da bisturi o qualsiasi altro incidente connesso a uno strumento utilizzato in corsia per far scattare il rischio di contagio biologico. Epatite C (Hcv), B (Hbv) e Hiv in testa.
Gli operatori sanitari vittime potenziali del danno biologico sono almeno 70mila l’anno: una cifra non da poco. Secondo l’Associazione dei responsabili dei servizi prevenzione in ambito sanitario (Airespa) punture e tagli sono al secondo posto nella classifica degli infortuni in Sanità dopo i danni “meccanici” determinati da sforzi eccessivi (ad esempio per spostare i pazienti), urti, cadute e e così via.

Il 78,3% degli infortuni a rischio biologico è provocato da punture e tagli: primi colpevoli (50,9%), gli aghi da siringa e le “farfalle” utilizzate per le fleboclisi. Solo il 21,7% dei contagi deriva da un contatto diretto con liquidi biologici.

Rischi sottostimati. Gli infortuni a “rischio biologico” rappresentano il 60% circa di tutti gli incidenti che avvengono negli ospedali medio-grandi. Ma gli esperti alzano la guardia e segnalano una forte sottostima nelle notifiche rispetto agli eventi realmente verificati, che sarebbero quasi il doppio.

Con un’ulteriore avvertenza: investendo il 50% di ciò che costa a un’azienda sanitaria eseguire analisi cliniche, marker virali, controlli specifici per l’Hcv e l’Hiv, profilassi dopo l’esposizione al virus Hiv, si ridurrebbe del 90% la possibilità di nuovi incidenti.

I costi in caso di esposizione accidentale non sono però solo quelli della profilassi da realizzare entro 1-3 ore dall’evento (circa 4mila euro). Tra gli oneri indiretti figurano infatti anche i premi pagati dal datore di lavoro per l’assicurazione contro gli infortuni, i procedimenti legali per il riconoscimento del danno biologico (civili e penali), le spese per l’insorgere di una eventuale patologia infettiva e, naturalmente, in costi legati all’assenza forzata dal lavoro e quelli cosiddetti “sociali”.

La soluzione? Prevenzione à go-go. Partendo da semplici precauzioni standard (rimettere il cappuccio all’ago appena utilizzato, non riporre le siringhe in contenitori facilmente forabili e così via). Ma anche utilizzando dispositivi di sicurezza, grazie ai quali è possibile prevenire la puntura accidentale durante e dopo l’uso e durante e dopo l’eliminazione dell’ago (siringhe con scudi di protezione o meccanismi di retrazione dell’ago).

Proprio in questo senso, recentemente negli Usa, ma anche in Europa, l’attenzione delle autorità sanitarie si è spostata verso l’identificazione e l’utilizzo di nuove attrezzature su cui si stanno avviando campagne di educazione-informazione sostenute da forti investimenti nel settore. A seguire, tra le misure consigliate, figurano l’immunizzazione (ma per Hiv e Hcv non c’è immunoprofilassi, ndr.) e, naturalmente, la formazione degli operatori a evitare i rischi, secondo quanto prescritto dal decreto legislativo 626/1994 sulla sicurezza nel lavoro.

Gli studi. Uno studio effettuato in Francia dal Groupe d’etudes sur le risque d’exposition des soignants (Gruppo di studio sui rischi d’esposizione dei “curanti”), ha sottolineato nel 2003 che l’utilizzo di dispositivi di sicurezza ha abbattuto dell’81,9% il rischio di infortuni ogni 100mila interventi di prelievo di sangue e del 77% quelli legati al posizionamento di un catetere.

A conferma del rischio elevato, il Siroh (Studio italiano sul rischio occupazionale di Hiv) avverte: su 50mila segnalazioni di esposizioni occupazionali rilevate in 55 ospedali italiani, il 77% erano dovute soprattutto a punture e tagli. Il 28% comportavano un rischio di infezione da virus di epatite C (63% dei casi), B (13%)o da Hiv (11%).

E a correre i maggiori pericoli è chi lavora – medico o infermiere che sia – nei reparti di medicina e chirurgia e in sala operatoria. Rischio più basso, invece, nei servizi di rianimazione, dialisi, emergenza. Nei centri trasfusionali e nei reparti di malattie infettive. Insomma, proprio dove gli aghi non mancano.

A dimostrazione che la consapevolezza e la conoscenza del rischio e una maggiore attenzione nell’attività professionale bastano da soli ad abbattere il pericolo.

Fonte: Il sole 24 ore