Le aziende sanitarie pagano in ritardo i fornitori

«Vuoi aggiudicarti la gara? Allora accetta il pagamento tra 180 giorni e senza interessi. Altrimenti non se ne fa nulla». È più o meno con questa formula che le aziende del Servizio sanitario nazionale (Ssn), sempre più a corto di liquidità, stanno mettendo alle strette i fornitori privati. In particolare le aziende biomedicali di Assobiomedica. Che ora minacciano di passare alle vie legali: «Ci mettono alle corde con contratti-capestro, con autonome interpretazioni delle regole europee». E, tanto per chiarire le difficoltà del settore, presentano un quadro disastroso del mercato: ritardi medi di rimborso dal Ssn di 324 giorni nel 2002 (57 giorni in più del 2001) e uno scoperto annuo di 2,1 miliardi, il 90% del fatturato totale (2,4 miliardi) con il Ssn.

Ormai non è più semplice guerra di posizione tra il Servizio e i suoi fornitori privati. Col servizio pubblico che cerca di risparmiare il più possibile e le aziende private che non vogliono più sottostare ai diktat del committente. Che in molti casi rappresenta il principale, se non l’unico, cliente.

La direttiva Ue. Tutto nasce dalla direttiva Ue (2000/35) cosiddetta “Late payment”, recepita in Italia lo scorso ottobre (Dlgs 231/2002). Obiettivo: accorciare i tempi di pagamento – tra le imprese e tra imprese e pubblica amministrazione – per evitare che il cliente più forte possa impropriamente finanziarsi imponendo tempi eccessivi di pagamento e senza riconoscere gli interessi di mora. Un’occasione storica per i fornitori del Ssn, che da sempre lamentano i tempi biblici di rimborso del servizio pubblico.

Fatta la legge, è stato però subito trovato l’inganno. Nel fissare in 30 giorni i tempi per il rimborso, la direttiva europea ha lasciato la possibilità di una deroga in base a eventuali accordi tra le parti, facendo riferimento a eccezioni nazionali indicate in leggi speciali. E questo è il nodo del contendere che sta scatenando una lotta senza quartiere.

Per le aziende sanitarie pubbliche, infatti, non c’è dubbio alcuno: i 30 giorni europei non si applicano e tanto meno ha più valore la legge (833/1978) che per la sanità ha fissato in 90 giorni i tempi massimi di rimborso ai fornitori. Un termine – i 90 giorni – che è da sempre un’utopia.

Ecco quindi, nelle lettere di aggiudicazione dei bandi di gara, le clausole capestro delle Asl: tempi di pagamento portati sempre più spesso a 150-180 giorni, prendere o lasciare. Con tassi di interesse ridotti all’osso, se non annacquati nel rimborso totale.

Le imprese. Assobiomedica suona l’allarme: «Così si rischia il tracollo». Di recente l’associazione ha scritto ai direttori generali delle Asl, mettendoli in guardia: «Questa situazione non è più sostenibile. La direttiva è l’occasione da non perdere per ricomporre i rapporti all’insegna di una maggiore chiarezza, certezza ed equità nel rapporto. Ci auguriamo che essa venga colta, per non vedere più gli uni contro gli altri armati. Se ciò non avverrà o le nuove clausole contrattuali dovessero risultare illegali, Assobiomedica è fermamente intenzionata a utilizzare i nuovi strumenti legali che la legge le mette a disposizione». Battaglia legale assicurata, insomma.

Ma anche un allarme in piena regola per lo sviluppo del settore. O meglio, per il rischio di un “non sviluppo”. Afferma Guido Riva, presidente di Assobiomedica: «Il cliente che persegue la via di “strangolare” il fornitore è un cliente miope, perché a breve riceverà un prodotto di minor qualità e un servizio più scadente. E questo accade più facilmente in un mercato in cui la domanda è, nei fatti, un monocliente». Altroché partnership, come avviene all’estero.

Mercato in rosso. Sono gli ultimi dati 2002 a dare il quadro delle difficoltà di mercato. L’anno s’è chiuso con ritardi medi di pagamento di 324 giorni: oltre il 20% in più del 2001. Con punte che arrivano a 676 giorni nel Lazio, 521 in Puglia, 421 in Campania. La più lesta a pagare è la Valle d’Aosta (78 giorni), la sola Regione entro la soglia dei 90 giorni.

Un quadro che va però incrociato con le somme in gioco. Rispetto a un fatturato annuo di 2,403 miliardi, lo scoperto col Ssn è di 2,161 miliardi. A fare la parte del leone sono il Lazio (427,8 milioni di scoperto, pari al 19,8% del totale), la Lombardia (354 milioni), la Puglia (219), l’Emilia Romagna (188,4) e la Campania (167,5 milioni). Come dire che, da sole, cinque Regioni accumulano il 62,7% dei pagamenti inevasi e il 48% del mercato totale.