La via italiana al retrovirus

Al via la sperimentazione su un gruppo di volontari di un vaccino anti-Aids. E’ frutto del lavoro dei ricercatori, diretti da Barbara Ensoli, dell’Istituto superiore di sanità. La prima fase per arrivare a un farmaco commerciabile.La ricerca pubblica italiana potrebbe per una volta essere all’avanguardia nello sviluppo di farmaci e terapie che coinvolgono direttamente i paesi in via di sviluppo. L’Istituto superiore di sanità (Iss), infatti, ha annunciato ieri la sperimentazione su un piccolo gruppo di volontari di un vaccino anti-Aids tutto italiano, dall’ideazione, produzione e pianificazione fino alla sperimentazione «sul campo». Secondo i ricercatori che lo stanno sviluppando – il laboratorio di virologia coordinato dalla ricercatrice Barbara Ensoli -, il vaccino è promettente perché non «attacca» l’involucro che riveste il virus ma mira direttamente a una proteina regolativa dell’Hiv-1. Si tratta della proteina «Tat», che entra in funzione subito dopo che il virus entra nella cellula ed è presente in tutti i suoi sottotipi. L’Hiv infatti è un retrovirus, cioè un virus a Rna, che attacca alcune cellule del sistema immunitario, principalmente i decisivi linfociti Cd4, indebolendo il sistema immunitario fino ad annullarne la risposta contro i vari agenti patogeni. Ma l’Hiv è grande e complesso, e nel corso del processo di trascrizione inversa subisce molti errori. Per questo esistono molti ceppi di virus mutati che possono avere caratteristiche completamente diverse dal virus originario. Un vaccino efficace e, per dir così, ad ampio spettro, è quindi difficilissimo da ottenere. Da oggi quindi ci si proverà in Italia con 32 volontari sani non a rischio (protocollo preventivo) e su 56 pazienti volontari malati e non in terapia (protocollo terapeutico). I primi risultati saranno pubblicati tra non meno di un anno (per maggiori informazioni sull’arruolamento dei volontari è stato attivato un numero verde: 800.861061). Il gruppo italiano della Ensoli coordina il progetto europeo Avip (Aids Vaccine Integrated Project), un gruppo di 15 laboratori in 7 paesi (Italia, Svezia, Regno Unito, Francia, Germania, Finlandia e Sud Africa) finanziati con appena 10 milioni di euro. Il processo che si avvia oggi, la cosiddetta «fase 1» dei test clinici, mira esclusivamente a verificare la non tossicità del farmaco su un gruppo ristretto di volontari, non ancora se il farmaco sia effettivamente efficace nella terapia o nella prevenzione (fasi 2 e 3). Si tratta quindi del primo gradino verso l’uso clinico, quello in cui si passa dalle provette e dai test animali (incluse le scimmie) per andare a testare il farmaco su campioni di popolazione selezionati. Le fasi successive, che possono durare fino a sette anni, prevedono una serie di test su vasta scala in una popolazione a medio e alto rischio. Si tratta di protocolli molto impegnativi che l’Iss ha già ammesso di non poter effettuare da solo come fatto finora, chiedendo quindi il coinvolgimento di capitali più ampi, dato che i costi complessivi possono arrivare fino a 100 milioni di euro. La sperimentazione sui volontari che parte oggi, si effettuerà in tre strutture ospedaliere a Roma (Policlinico Umberto I e istituto Spallanzani) e a Milano (San Raffaele), anche se per le fasi successive si pensa già ad alcuni paesi africani come Sud Africa, Uganda e Swaziland. Il ministro della salute Girolamo Sirchia non nasconde l’importanza del risultato ma ricorda correttamente che siamo ancora all’inizio. E Barbara Ensoli avvisa che «finché non sarà conclusa la sperimentazione l’unica arma efficace contro l’Aids è la prevenzione». E proprio il 1 dicembre si celebra in tutto il mondo la giornata dedicata a questa emergenza. Sono passati quasi vent’anni (era il 1984) da quando il virus Hiv è stato individuato come l’agente scatenante comune a una serie di sintomi molto variabili chiamata sindrome di immunodeficienza acquisita (in inglese Aids). Ancora oggi ogni giorno 14.000 persone in tutto il mondo contraggono il virus. Ma la diffusione dell’infezione è tutt’altro che omogenea: il 95% dei malati, infatti, vive nel sud del mondo, tanto che l’Aids è la prima causa di morte in Africa (dove un adulto su 12 è sieropositivo). Un paziente su quattro è di sesso femminile e il 70% dei contagiati ha meno di 39 anni. L’agenzia delle Nazioni unite che si occupa di Aids a livello planetario (Unaids) ha diffuso in questi giorni le ultime statistiche sulla pandemia. Nel corso del 2003, 5 milioni di persone hanno contratto la sindrome e la malattia ha causato 3,1 milioni di morti. Oggi ci sono 42 milioni di persone sieropositive e tra queste 2,5 milioni hanno meno di 15 anni. Per quanto riguarda l’Italia, l’Istituto superiore di sanità conferma al 30 giugno dell’anno scorso 856 casi in tutto. Date le dimensioni della pandemia, è comprensibile che l’obiettivo di una cura, o meglio ancora di un vaccino, sia perseguito da tempo nei laboratori di tutto il mondo. A tutt’oggi si stanno sperimentando infatti almeno 24 vaccini diversi per l’Aids. La maggior parte si trova ancora nella fase 1 e solo due di essi (delle multinazionali Merck e Aventis) sono arrivati in fase 2. Attualmente c’è solo un vaccino che è arrivato alla soglia della commerciabilità, una collaborazione americana e tailandese (Alvac o Aids VaxGen), che ha coinvolto 7.500 volontari in Usa e Tailandia. Per le cure, il «Global fund» contro tubercolosi, malaria e Aids creato nel 2002 ha raccolto fino ad oggi circa 7 miliardi di dollari (la metà rispetto all’obiettivo fissato) e ha avviato 224 progetti in 121 paesi. Nonostante tutti gli ostacoli dei paesi produttori e delle multinazionali, la battaglia sul prezzo dei farmaci antiretrovirali necessari per la cura dell’Aids ha portato qualche risultato. Nel 2000 il prezzo di questa terapia (che, come tutte le cure, se non è accompagnata da interventi sanitari e socio-culturali è inefficace) era di 12.000 dollari l’anno a persona. Oggi ammonta più o meno a 675 dollari per i farmaci «di marca» e 300 per quelli generici (in genere prodotti in Brasile, India e Tailandia). Una somma minore ma ancora inaccessibile per i milioni di malati più poveri. L’Unaids infatti afferma che nell’Africa subsahariana solo 50 mila persone ricevono cure appropriate. Ecco perché i vaccini sono decisivi. Ma il totale dei fondi dedicati al loro sviluppo si aggira intorno ai 570 milioni di dollari, un’inezia rispetto ai 70 miliardi spesi ogni anno su farmaci di tutti i tipi.