Gli italiani hanno cambiato idea sull’eutanasia

Sorprendentemente, in poco più di un decennio il loro atteggiamento nei confronti di una questione moralmente complessa come l’eutanasia è mutato in modo significativo, conquistando il favore della maggioranza, soprattutto dei giovani.Il Rapporto 2003 dell’Eurispes ci dice che circa 60 italiani su 100 sono favorevoli, più gli uomini (63,9 per cento) delle donne (55,2). Solo 13 su 100 sono incerti o non rispondono. L’eutanasia vede favorevoli gran parte dei giovani tra i 18 e i 25 anni (67,4 per cento), dei quali solo il 9,2 per cento non risponde. Tra i più incerti gli italiani tra i 25 e i 44 anni, che rappresentano quasi il 16 per cento di coloro che non rispondono o dichiarano di non sapere, mentre i più restii sono gli ultra sessantacinquenni, che per il 38 per cento dicono di no. Interessante è poi scoprire che su questo tema poco contano le aree di appartenenza politica: è favorevole il 52,7 per cento dei cittadini che si riconoscono nel centrodestra contro il 53 per cento di quelli vicini al centrosinistra, tra le cui fila si registra però il più alto numero di incerti (il 15 per cento non risponde contro il 13 per cento degli appartenenti al centro destra). Tutt’altro quadro si configurava solo nel 1987, quando il 40 per cento degli intervistati era decisamente contrario e solo il 24,5 per cento favorevole.

L’intento di non prolungare le sofferenze di chi è inesorabilmente giunto alla fine della sua vita è alla base di quello che genericamente si chiama eutanasia. Una pratica che richiede sempre e comunque la presenza di una volontà accertata nel morente. In tal senso, si distinguono diverse modalità per esprimerla e portarla a compimento: da una parte ci sono il suicidio assistito e l’eutanasia attiva, dall’altra c’è il testamento biologico, detto anche “direttive anticipate”. Il suicidio assistito riguarda coloro che ancora coscienti vogliono sottrarsi alla dipendenza da macchine o da farmaci e, dunque, chiedono di interrompere i trattamenti; l’eutanasia attiva si attuerebbe alle stesse condizioni ma con la possibilità di farlo autonomamente. Il testamento biologico, o “direttive anticipate”, è invece l’affidamento a un terzo della propria volontà rispetto a un momento in cui non si sarà più coscienti per poter comunicare la propria scelta. Ciò ha la sua fonte di riconoscimento giuridico nella Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina, ratificata dall’Italia il 24 marzo del 2001. Che ha di fatto riconosciuto rilevanza giuridica ai desideri espressi dal paziente prima della sua perdita di coscienza. La Carta di autodeterminazione è il tentativo di dire come fare e di dare un modello standard sulla procedura.

Depenalizzare l’eutanasia o il suicidio assistito è per alcuni un atto di civiltà e di umanità, per altri è una azione moralmente inaccettabile che sottende il desiderio di liberarsi dei morenti che diventano d’impaccio o che costano troppo. In tutto il mondo il dibattito è aperto. E mentre il Consiglio d’Europa continua a discuterne, in alcuni paesi dell’Unione si fa qualche passo avanti sulla strada della sua depenalizzazione (Svezia e Olanda) o dell’approvazione del valore legale del testamento biologico (Danimarca). La Spagna e la Svizzera acconsentono al suicidio assistito, mentre solo l’Olanda, il 1° aprile 2002, ha approvato la legalizzazione dell’eutanasia.

Anche in Italia qualcosa si sta movendo ma per arrivare a una qualche decisione istituzionale c’è ancora molta strada da fare. Il maggiore fermento è nella società civile, come testimonia la nascita in anni recenti di alcune organizzazioni. Come Exit che, nata a Torino nel 1996 da persone coinvolte da esperienze dolorose, si focalizza sull’assistenza ai malati. O Liberauscita che nasce a Roma nel 2001 da una specifica battaglia per l’approvazione del testamento biologico. L’associazione ha un matrice sindacale e politico culturale e supporta l’unica proposta di legge italiana in materia di “direttive anticipate o testamento biologico”, a firma delle deputate Ds Franca Chiaromonte e Giovanna Grignaffini. Il progetto prevede la figura di un tutor il cui nome dovrebbe essere indicato nel testamento, prima di perdere la capacità di intendere e volere. Per tutti, comunque, è fondamentale “riconoscere la libertà del cittadino di decidere se e come lasciare questa vita con dignità, affinché non ci capiti di morire”, come ha ripetuto il filosofo Carlo Viano in un recente convegno promosso a Roma, dalla Consulta di Bioetica, che da tempo ha elaborato un modello utile per il testamento biologico, la Biocard.

Di certo il timore anche reverenziale verso la morte non ci induce naturalmente a pensare oggi a cosa fare domani rispetto alle modalità della nostra morte. Ma proprio per questo è fondamentale parlarne e capirsi. “Nessuno decide come nascere, almeno decidiamo come vogliamo morire. Riavvicinandoci alla cultura della morte vivremo con maggiore consapevolezza”, dice Giampietro Sestini, segretario di Liberauscita, che per il 22 settembre sta organizzando a Roma il primo convegno internazionale sul suolo italiano. Invitati numerosi studiosi, rappresentanti di organizzazioni, ma anche di comunità religiose, le più ostili all’autonomia del morente.