Circoncisione e HIV: Massimo Galli mette in guardia sulle facili prevenzioni

«Si tratta di un vecchio tormentone. È probabile che i circoncisi abbiano un rischio minore per le infezioni sessualmente trasmissibili, perchè con l’intervento viene a mancare un microambiente biologico favorevole all’infezione» così Massimo Galli, direttore dell’Istituto malattie infettive e tropicali all’Università di Milano. «Non c’è però concordanza generale su questo. Insomma, la circoncisione non dà la sicurezza totale di essere protetti dal rischio, l’eventualità di infettarsi rimane. A maggior ragione, quindi, una sua applicazione a fini epidemiologici non è proponibile».

Tratto e riformulato da www.panorama.it
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Eliminerebbe una parte di cute, il prepuzio, ricca di alcune cellule, dette di Langerhans, assai suscettibili all’infezione da Hiv, il virus dell’aids. Senza queste cellule, il rischio di contrarre la malattia è stato stimato 6,7 volte inferiore che in un uomo non circonciso. Ma molti medici sono scettici.

Circoncisione uguale sieronegatività? Questa è la controversa equazione che un numero crescente di ricercatori sostiene pur di suscitare attenzione sui risultati di 34 studi internazionali condotti a proposito di aids. Secondo quanto sembra emergere da queste ricerche, la circoncisione ridurrebbe significativamente per gli uomini il rischio di contrarre l’Hiv. Giornali equilibrati come il Financial Times hanno riferito sulla nuova ipotesi.

Si è inoltre riacceso il dibattito, antico quasi quanto la stessa operazione chirurgica, fra i sostenitori e i detrattori della circoncisione. Questa non è infatti eseguita solo per motivi socioreligiosi (per esempio fra ebrei e musulmani) ma anche con motivazioni mediche. La circoncisione (rimozione della pelle del prepuzio) viene praticata per risolvere la fimosi (che impedisce la scopertura del glande e dunque una completa erezione) e per prevenire infezioni nel neonato, infiammazioni e, secondo uno studio svolto negli Stati Uniti negli anni Settanta, anche alcune forme di tumore. Con queste motivazioni la chirurgia genitale è da tempo assai diffusa negli Usa: il 60 per cento dei neonati viene circonciso nei primi giorni di vita, anche se con tendenza al calo.

STUDIO NELLE CITTÀ AFRICANE –
Ma cosa c’entra l’aids? Già alla fine degli anni Ottanta l’antropologa Priscilla Reining, con uno studio sull’incidenza dell’aids in alcune città africane, suggerì una correlazione tra circoncisione e diffusione della malattia. La circoncisione eliminerebbe una parte di cute, il prepuzio, ricca di alcune cellule, dette di Langerhans, assai suscettibili all’infezione da Hiv. Senza queste cellule, il rischio di contrarre l’aids è stato stimato 6,7 volte inferiore che in un uomo non circonciso.
Un’altra ricerca è stata condotta nel 1999 in Uganda, sui comportamenti sessuali di coppie composte da donne sieropositive e uomini inizialmente immuni: ha indicato che il 30 per cento degli uomini non circoncisi veniva contagiato nell’arco di 30 mesi, mentre nessun maschio circonciso ha contratto il virus nello stesso lasso di tempo.

Nel 2002 la dottoressa Helene Gayle, direttrice del programma Hiv/aids e tbc della Fondazione Gates, ha concluso, dopo aver passato in rassegna una trentina di ricerche internazionali sul tema, che la «circoncisione dimezza il rischio dell’infezione». Una percentuale che crescerebbe fino al 70 per cento per alcuni uomini circoncisi particolarmente esposti al rischio (come gli affetti da malattie sessualmente trasmissibili).

SCETTICISMO –
Ma resta anche tanto scetticismo per tali ipotesi. È stato sottolineato, per esempio, che nei confronti di altri agenti infettivi (sifilide, herpes, e altri) la circoncisione non conferisce alcun tipo di immunità. Inoltre, la Cochrane collaboration, un’organizzazione internazionale non profit specializzata in questioni di sanità pubblica, ha affermato che tutti gli studi medici che avvalorano l’utilità preventiva della circoncisione non prendono in considerazione il fattore culturale e/o religioso. Eppure questo fattore è decisivo, perché induce comportamenti sessuali ben diversi e dunque occasioni di contagio più o meno numerose.

DISPONIBILITÀ IN BOTSWANA –
Il dibattito sulla circoncisione preventiva vede così la comunità medico-scientifica divisa. I costi e, soprattutto, i freni culturali a una generalizzata circoncisione tra le popolazioni a rischio sono del resto fattori decisivi. Ma in almeno un paese africano, il Botswana, che conta percentuali spaventose di malati di aids e sieropositivi (20 per cento le stime ufficiali, il doppio forse nella realtà), secondo un gruppo di ricercatori di Harvard la maggior parte dei genitori sarebbe oggi pronta a sottoporre i neonati a una circoncisione «preventiva».

Fonte: Panorama.it