GIORNATE DI NADIR 2019 – WORKSHOP

LA COMUNICAZIONE MEDICO-PAZIENTE
UNDERSTANDING EACH OTHER
Workshop per la creazione di un documento di consenso (Amalia Bove e Annalisa Perziano)

E’ stato disegnato seguendo una modalità innovativa: il confronto tra medici al di sotto dei 45 anni, che non hanno vissuto i problemi dell’HIV negli anni ottanta e novanta, e pazienti al di sopra di questa soglia di età che invece hanno alle spalle una lunga storia clinica e che oggi affrontano le sfide legate all’invecchiamento.

La relazione medico paziente è da tempo in studio dato il beneficio che comporta per il successo terapeutico, ma la letteratura sull’argomento tende a fornire tecniche che aiutino il medico a gestire la comunicazione evitando il coinvolgimento soggettivoin quanto eventuale “elemento di disturbo”. La relazione, in questo modo, viene svuotata dagli aspetti emozionali che rendono ogni paziente diverso dall’altro e ogni medico unico e speciale per quel singolo paziente.

LA NOSTRA ESPERIENZA: Siamo partiti da una premessa diametralmente opposta, mettendo al centro dell’attenzione la soggettività di entrambi i protagonisti della relazione, rivalutando e riconoscendo proprio nella soggettività la base per instaurare un clima di fiducia e accettazione reciproca. La qualità della relazione dipende in gran parte dalla capacità di accogliere le difficoltà emozionali del paziente, rispettando le sue fragilità, ma anche dal paziente, che deve tenere presenti i limiti soggettivi del medico.

Il confronto si è soffermato maggiormente sugli aspetti della relazione all’interno di tre momenti specifici: Comunicazione della diagnosi, Inizio/Cambiamento della terapia farmacologica, Presenza di copatologie.

COMUNICAZIONE DELLA DIAGNOSI: è il momento in cui il patrimonio emotivo di entrambi le parti si mettono in gioco. Il paziente si trova a dover gestire l’urto destabilizzante della notizia. Dal workshop è emerso che gli stessi medici riconoscono quanto sia importante garantire al paziente un tempo sufficiente per metabolizzare quello che accade e quello che accadrà da quel momento in poi. La funzione che il medico è chiamato a svolgere è di natura emotiva, ha a che fare con la capacità di mettersi nei panni dell’altro e di sostenerlo nel tentativo di elaborare emozioni mai provate prima.

Il proprio vissuto del medico determina il modo di porsi davanti al paziente, ma si profila necessario una preparazione da parte di specialisti per imparare a gestire un momento molto delicato, come richiesto dagli stessi medici cha hanno partecipato al workshop.

Ricordiamo, inoltre, che in quel momento il medico rappresenta anche la realtà sanitaria della quale il paziente avrà bisogno nel tempo ed alla quale dovrà imparare ad affidarsi. Affrontato anche il desiderio dei pazienti di essere seguiti nel tempo dallo stesso medico, di fondamentale importanza per garantire la stabilità della relazione, ma sempre più difficile nella maggior parte delle strutture sanitarie.

INIZIO/CAMBIAMENTO DELLA TERAPIA: L’ingresso del farmaco nella propria routine è per molti un momento ancora più delicato, simbolo della concretizzazione del problema. Cominciare la terapia può essere vissuta in maniera destabilizzante come se si trattasse di una seconda diagnosi. E il farmaco percepito come conferma dell’essere malato, rischia di essere rifiutato o gestito male sia nell’aderenza sia nella percezione degli effetti collaterali.

La dimensione emotiva del paziente deve essere ben nota al medico per fare la scelta terapeutica più adeguata, non solo dal punto di vista farmacologico ma anche da quello psicologico. La capacità del medico di accogliere senza banalizzare le preoccupazioni e le resistenze del paziente, permette di costruire un’alleanza mirata al successo terapeutico.

Il cambiamento di terapia attiva ulteriori domande dal paziente, che magari nel frattempo ha guadagnato una certa esperienza oppure perché a volte si tratta di persone più informate e così medico e paziente si trovano ad interagire sugli aspetti farmacologici della cura. E’ una modalità di approcciarsi unico e caratteristico della patologia dell’HIV che ha rivoluzionato il concetto classico della relazione medico-paziente.

LA PRESENZA DI COPATOLOGIE LEGATE ALL’INVECCHIAMENTO: Il paziente con HIV che invecchia è segnato dalla delicatezza emotiva che fa da sfondo a questa fase della vita, frutto di un percorso che ha posto al centro delle preoccupazioni la propria salute, e dalle ansie dovute alla sua precarietà.

Il ritratto che ne viene fuori è quello di una persona sola e stanca, poco attiva socialmente che cui l’HIV ha tolto la serenità e la capacita di progettarsi verso il futuro. La sua attenzione si basa soprattutto sul bisogno di comprendere il significato dei nuovi sintomi che lo colpiscono, spesso già spiegato da parte dei medici che sono dovuti agli anni di infezione che si porta sulle spalle. Questa spiegazione

Trattare questo tipo di pazienti esige una equipe multidisciplinare, preparata sul tema Hiv, in grado di farsi carico di domande che sono nuove per lo stesso infettivologo. Fondamentale è la costruzione di una rete di medici in grado di comunicare tra di loro sul singolo caso e di potersi affidare. Altrimenti, egli rimane frustrato con le sue domande e i suoi nuovi sintomi, perso in una sorta di pellegrinaggio, a proprie spese, alla ricerca di qualcuno che gli dia le risposte necessarie.

I vantaggi delle terapie hanno un timido riscontro sulla qualità della sua vita affettiva e sessuale, ormai al tramonto o complicate da nuove patologie. Doversi relazionare con un giovane medico può costituire un elemento di stress data la difficoltà di entrare in sintonia con chi si trova in un’altra fase del ciclo vitale.

A tal proposito, I giovani medici presenti nel workshop, hanno sottolineato, a difesa del proprio entusiasmo, che i professionisti della vecchia guardia si sono trovati per caso ad occuparsi di HIV, mentre le nuove generazioni di infettivologi scelgono consapevolmente di occuparsene sapendo bene di cosa si tratta.

SINTESI E PROPOSTE
Il lavoro di gruppo ha permesso a giovani medici e pazienti di aprire un confronto sulle reciproche esigenze, richieste e bisogni che agiscono spesso in maniera inconsapevole nella relazione di cura. Le proposte avanzate per migliorare la relazione medico-paziente e renderla un’esperienza produttiva a lungo termine per entrambi sono:

  • Rispetto reciproco nella relazione in modo che entrambi gli attori possano svolgere i propri ruoli senza calpestare o sovrapporsi a quello dell’altro.
  • Consulenza e supervisione psicologica per medici e operatori sanitari all’interno della struttura di appartenenza, di uno psicologo clinico/psicoterapeuta finalizzate a sostenerli nel rapporto con il paziente.
  • Assistenza psicologica al paziente che deve affrontare il percorso clinico e rapportarsi nel lungo periodo con la struttura ospedaliera.
  • Evitare la rotazione dei medici, elemento chiave che permette di mantenere il rapporto fiduciario, la relazione nel tempo e la motivazione al continuum of care o, comunque, garantire la continuità del rapporto
  • Creare una rete di specialisti multidisciplinari in grado di rispondere alle esigenze di diversa natura del paziente con HIV, soprattutto alla luce di quelle che sopraggiungono con il passare del tempo
  • Strutturare giornate di incontro medici-pazienti a livello territoriale con un esperto di comunicazione per migliorare l’approccio reciproco in sede di visita e le modalità per imparare a ottimizzare il tempo a disposizione.
  • Definire protocolli di intesa tra istituzioni e privati che permetta a centri extra-ospedalieri di raggiungere il livello di qualità necessario per facilitarne l’operatività.
  • Elaborare un documento di consenso indicando gli aspetti essenziale per guidare la relazione medico – paziente nel lungo periodo.

Iniziativa resa possibile grazie al supporto incondizionato di PAE e il patrocinio di SIMIT.