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QUALITA’ DELLA VITA CORRELATA ALLA SALUTE
Focus tra presente e futuro: il 4° novanta nel 4° decennio
Apertura, razionale degli argomenti del seminario
Filippo von Schlösser
Cosa può aspettarsi una persona con HIV oggi dalla ricerca, dalle istituzioni, da se stesso? Quanto può proiettarsi verso il futuro con la disponibilità di strumenti più efficaci e mirati al mantenimento della salute e cosa deve prevedere, invece, da quel futuro che è riuscito ad allungarsi all’alba del 4° decennio dalle prime infezioni? Sono a grandi tratti gli interrogativi con cui Lia Bove e Annalisa Perziano, psicologhe cliniche, svilupperanno il tema.
Nadir, seguendo il concetto dei 3 novanta proposto da UNAIDS, ha aggiunto un quarto obiettivo, quello della Qualità della vita (QoL), iniziando ad occuparsene dal 2017 con un survey per valutarne l’autopercezione delle persone colpite dal virus. Oggi propone un nuovo questionario, Il 4° novanta nel 4° decennio, Questionario sulla Qualità della vita percepita dalle persone con HIV in trattamento farmacologico, che si inserisce in un momento chiave, tra presente e futuro, per approfondire gli aspetti emersi nel primo questionario, valutare le complessità che scaturiscono da una lunga convivenza con il virus e con il quale, si spera, ci si possa convivere ancora per molto. Ma l’obiettivo principale è identificare aspettative, bisogni e carenze delle persone sieropositive da vecchia data che si avviano verso il 4° decennio.
Qualità della vita nel quarto decennio
Nel 2013, UNAIDS, che monitora l’andamento dell’epidemia, ha dato come obiettivi da raggiungere entro il 2020, la terna 90-90-90 ovvero il 90% delle persone diagnosticate sieropositive, il 90% in terapia antiretrovirale e il 90% in trattamento con la carica virale irrilevabile e quindi non trasmissibile.
Il quarto 90 riguarda la qualità della vita. Oggi siamo in una fase, fortunatamente, nuova e la scienza ci permette di confrontarci con l’HIV e l’invecchiamento quindi il decadimento fisiologico connesso l’invecchiamento e con altre patologie.
I dati UNAIDS per il 2018: nel mondo siamo al 79% delle persone sieropositive diagnosticate, di cui il 62% in trattamento e di queste solo il 53% ha la carica virale soppressa. Per quanto riguarda l’Europa Occidentale, dunque anche l’Italia, siamo al 79% delle persone diagnosticate di cui il 79% ha la carica virale irrilevabile. Realtà distanti dal 90-90-90.
Riflessioni sul questionario sulla Qualità della vita
Una ricerca che Nadir ha realizzato (sulla scia di Lazarus) tra il 2017 e il 2018, affronta per la prima volta l’importanza del quarto 90, riferito alla qualità della vita della persona con HIV.
La ricerca prende in considerazione due domini fondamentali: il primo legato alla comorbidità, all’invecchiamento correlato alla presenza di nuove patologie e quindi molto più ampia sia per il medico che per il paziente; il secondo, legato all’autopercezione del paziente con HIV e alla sua qualità della vita. il dato allarmante è che il quarto 90 è stato raggiungo solo al 60% in Italia.
Scarsa salute sessuale mentale e stanchezza cronica
Nei bambini e negli adolescenti si parla molto del deficit dell’attenzione (anche tra gli adulti). Attraverso test, universalmente riconosciuti come validi, si arriva a diagnosi raccapriccianti:
si definiscono bambini con disturbi dell’apprendimento e deficit dell’attenzione, quando non hanno assolutamente niente da un punto di vista organico e neurologico. Se uno psicologo clinico e non uno psicologo che fa statistica, andasse a leggere le 5 scale, si renderebbe conto che quel bambino ha un quoziente intellettivo basso perché non sta bene: ha delle performance altissime in alcune scale, ma crolla in alcuni item che riguardano la memoria di lavoro e la velocità di elaborazione. Perché tutto questo? E’ importante capire che il nostro rendimento non è fatto solo di neuroni, ma di come li utilizziamo. Ciò dimostra che, durante il test, i livelli di ansia non aiutano il bambino a trattenere a sufficienza l’informazione. La perde. Ed è per questo che chiede di ripetergli il problema. Darà, successivamente, la risposta giusta, ma fuori tempo. Non è facile dire che è un problema organico legato alla scarsa salute mentale.
Rispetto alla salute sessuale, si devono, assolutamente, prendere in considerazione gli anni di infezione quanto possono incidere su problemi meccanici per esempio, oppure non si possono trascurare gli effetti collaterali dei farmaci.
Quindi, nel pieno riconoscimento del campo medico, abbiamo il dovere di non togliere la soggettività dalla ricerca. Una persona che non ha elaborato la diagnosi a sufficienza e quindi sente amputata la sua possibilità di progettare da un punto di vista affettivo e sessuale, ha una buona qualità di vita?
Oggi ci sono prospettive di vita impensabili rispetto a 30 anni fa. Ma il problema rimane: dirlo, a chi dirlo, quando dirlo, non dirlo, come dirlo. Questo incide sulla vita sessuale?
Per la popolazione che si porta dietro una storia antica di sieropositività, ristrutturare mentalmente l’immagine di sé non è compito facile. Ovvero, pur sapendo, di avere carica virale zero, questo rapporto col preservativo non è risolto. L’imprintingpotente della diagnosi non si risolve in poco tempo e questo dovrebbe essere spiegato con delicatezza anche ai medici, i quali hanno la responsabilità, grandissima, di dover comunicare nella maniera giusta, di essere empaticamente presente accanto a chi, in quel momento, si sente spaccato in due. E’ un punto fisso di non ritorno, non perché si ha a che fare con una patologia seria, ma perché tutto quello che era prima cambia. Noi cambiamo costantemente qualsiasi cosa ci capiti nella vita. E quando accadono fatti che non ci trovano preparati, diventa, prima o dopo, una situazione difficile da sopportare. Una frattura del Sé. Ognuno la elaborerà in base ai propri strumenti, alla propria storia, al patrimonio affettivo.
Rischio di isolamento
E’ lo specchio dell’amputazione che la diagnosi riesce a fare, è il processo di elaborazione e di riappropriazione di una possibilità di realizzare i progetti pensati. Durante l’invecchiamento, invece, la stanchezza cronica si propone come elemento medico prepotente, ma, dal punto di vista psicologico, chi è depresso è più stanco degli altri. Sulla stanchezza cronica è necessario capire se incide il percorso interno che una persona è riuscita a fare fino a quel momento.
Assenza di serenità e lo scarso interesse per il benessere a lungo termine
L’assenza di serenità è un capitolo grandissimo nella vita di tutti, non solo per chi ha l’HIV.
Un conto è essere poco sereni e un conto è l’assenza di serenità. Lo scarso interesse per il benessere a lungo termine è assolutamente legato all’assenza di serenità. Come faccio ad essere sereno se non ho interesse per il domani? Noi non possiamo sopportare di vivere in un eterno presente, lo può fare l’adolescente che non riesce ad immaginare il domani e resta in balìa di un presente che non finirà mai perché, ovviamente, è in piena trasformazione.
Il vissuto di una persona di fronte ad una diagnosi di HIV, fino a qualche tempo fa non aveva possibilità di contenimento, non aveva argini e, finché non sono arrivate le terapie, nessuno sapeva quale sarebbe stato il suo futuro, proprio come un adolescente.
E’ fondamentale prendersi cura della persona che c’è dietro al ruolo del medico e al ruolo del paziente. Se queste due persone, con le loro sensibilità, riescono a parlarsi con il cuore allora la relazione può essere un contenitore emozionale capace di funzionare. Questo non vuol dire che il medico debba fare lo psicologo, ma è senz’altro uno spazio di crescita anche per lui.
I meccanismi di difesa servono per sopravvivere, quindi il medico frettoloso o tecnico rischia di amputare la specificità di una relazione.
Obiettivo del questionario è quello di dare una risposta a tutto ciò che non funziona, ovvero:
- Valutazione individuale della qualità della vita
Il paziente è in continua evoluzione, sia dal punto di vista medico che esistenziale e quindi è importante capire se, questa relazione, è in grado di accogliere le nuove sfide dell’HIV.
- Pacifica convivenza con noi stessi, disponibilità
Capire se qualcuno ha la possibilità di godere di una vita affettiva soddisfacente
- Aspettative
E’ importante, attraverso il questionario, ottenere una fotografia della situazione, capire cosa è più oggettivabile e anche più aggredibile in termini di cambiamento. Focalizzare una motivazione è un grande passo avanti.
Cosa sarebbe utile offrire come primo aiuto?
La domanda che l’individuo si pone è come impiegare il tempo a disposizione, mettersi al timone della propria vita di nuovo, con tutte le difficoltà di questo passaggio. Nel momento del trauma è molto importante il tipo di risposta, di relazione, di qualcuno che in quel momento possa accudire il paziente in modo materno. Quel salto è già un traguardo perché si fanno i conti con la propria depressione e, o si hanno le risorse e, quindi, gli strumenti necessari per rimettersi in piedi, viceversa, l’individuo fragile non avrà la forza per cercare strutture di aiuto, avrà paura di manifestarsi, lasciare tracce.
E’ importante offrire dei binari chiari dall’inizio a una persona perché possa alleggerire le difficoltà.
Sessualità
L’educazione sessuale, per gli adolescenti, è un argomento che suscita ilarità. Non hanno avuto la possibilità, la libertà e la serenità di parlarne. E’ responsabilità degli adulti dare, ai ragazzi, il permesso di pensare alla sfera sessuale come una comunicazione che fa un essere umano ad un altro sul chi è, anche attraverso la sessualità.
Gli adolescenti non conoscono i preservativi, non sanno che hanno una scadenza, non ne conoscono il costo.
Importanza di un gruppo di sostegno
Amalia Bove e Annalisa Perziano
All’interno di un gruppo si crea l’accudimento di chi ci è già passato ed è cosciente su quello che ha, oggi, a disposizione. Un confronto capace di accogliere, delicatamente, il dolore. Nel dolore è importante il bagaglio con cui l’individuo affronterà quel salto, in termini di impotenza, di annichilimento, di svuotamento del Sé. Nelle giovani generazioni, il dolore ha a che fare con il lutto della perdita del senso di onnipotenza.
Di fronte ad una diagnosi, qualunque essa sia, noi viviamo un lutto. C’è la presa di coscienza, improvvisa, di non essere immortali.
L’individuo, in quel momento, è in preda ad un’emozione sconosciuta e per la quale è totalmente impreparato. Diventa come il bambino con deficit intellettivi, si perde.
E allora è importante un pre e post counseling, perché, nel momento in cui il medico emette una diagnosi, non sa che uso potrà fare di quell’informazione. Ed è tenuto a saperlo.
- ESPERIENZA E VALORE AGGIUNTO DEI CHECKPOINT: TESTING E APPROCCIO “PEER”
Giulio Corbelli
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- Quali sono le difficoltà nel sistema Italia?
- U=U: quali gli effetti sulla QOL?
- I checkpoint nei paesi europei, programmi nelle città italiane
- Discussione con la Sala, Domande & Risposte
I checkpoint sono centri gestiti associazioni che offrono servizi sulla salute sessuale alla community.
Il momento della diagnosi:
Solitamente, tutte quelle paure delle persone che approcciano al test, riescono ad essere gestite dal fatto che, di fronte, hanno una persona con HIV, da molti anni e, sostanzialmente, in buona salute. Il momento della diagnosi è un’esperienza diretta sull’infondatezza della paura così immediata e, in quel momento, non si rende più necessario approfondire il tema terapia, della morte. Questo aspetto lascia il posto alla gestione dell’emozione, della paura.
Il modello del gruppo di autoaiuto in ospedale, non è esattamente ciò che serve in questo momento. E’ necessario un nuovo modello. C’è il bisogno di portare quanto più possibile dell’HIV fuori dall’ospedale, in cui, ovviamente, ha priorità la situazione clinica. Il vero scoglio è fuori: la società, il gruppo, la comunità, la possibilità di confrontarsi con altre persone.
A Bologna, per esempio, da molti anni, si organizzano i venerdì positivi, riunioni collettive in cui, raccontando le proprie esperienze, si creano forti legami e solidarietà tra le persone che li frequentano abitualmente. Il fatto che si crei un gruppo coeso è un valore di per sé che si proietta anche all’esterno del gruppo stesso.
E’ chiaro che situazioni di questo tipo alleggeriscono, di gran lunga, lo stress e l’ansia di un paziente con HIV, portando cambiamenti sostanziali che ne migliorano, certamente, la qualità della vita.
TRA PRESENTE E FUTURO: U = U
Filippo von Schlösser
Le problematiche legate al concetto (Undetectable = Untransmittable), seppur supportato da molti studi clinici che ne confermano la validità, risveglia ancora dubbi in alcuni settori. Molte persone non sanno di cosa si tratti e altre, invece, ci si adagiano inadeguatamente pensando che possa proteggerle da altre malattie sessualmente trasmissibili.
E’ fondamentale per noi associazioni, vista la mancanza di obiettività e la lentezza con cui le istituzioni hanno affrontato il problema HIV nel nostro paese, fare il possibile perché il concetto di U=U passi correttamente. SIMIT, con l’aiuto delle organizzazioni elaborerà un documento di consenso ove convogliare certezze e messaggi da rendere pubblici.
Iniziativa resa possibile grazie al supporto incondizionato di Gilead Sciences.
- FARMACI BIOEQUIVALENTI, IL CONTRIBUTO ALLA SOSTENIBILITA’
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- Introduzione
- Che cosa ne dicono le associazioni
- Che cosa ne dicono le linee guida e AIFA
- Che cosa ne dice chi li prescrive? (Andrea Antinori)
- Contributo “efficace” alla sostenibilità del sistema? (M. Oldrini – A. Antinori)
Introduzione
Filippo von Schlösser
Con l’aiuto di Massimo Oldrini, presidente LILA e di Andrea Antinori (INMI) vogliamo approfondire sulla la validità dei farmaci bioequivalenti e le garanzie di qualità, dissipando i pregiudizi che vi sono ancora riguardo la loro efficacia. Sono sempre più utilizzati contro le malattie a esito infausto dato che sono affidabili come quelli Brand. L’AIFA, ne raccomanda l’utilizzo quanto più possibile, anche perché, oltre all’efficacia, contribuiscono a contenere i costi della salute, aiutando la sostenibilità del sistema.
Come nasce un farmaco bioequivalente? Per poter approvare un farmaco generico a scadenza brevettuale, o addirittura prima di tale scadenza, l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) non fa uno studio clinico sul farmaco dato che è già stato approvato, ma chiede siano effettuati studi di bioequivalenza per dimostrare che il brand e il generico sono farmacologicamente uguali. Inoltre, è molto attivo il sistema di farmacovigilanza. Se, ad esempio, un lotto di produzione non rispetta i parametri del farmaco brand, viene sottoposto a ispezione da parte dei NAS su richiesta dell’AIFA.
Che cosa ne dicono le associazioni
Massimo Oldrini
L’HIV non è mai riuscito ad ottenere dall’Organizzazione Mondiale della Salute la qualifica di malattia cronica. E’ considerata malattia a esito mortale.
Le aziende che producono farmaci bioequivalenti o generici sono, talvolta, colossi maggiori rispetto a volumi di bilanci. Tali aziende, la cui affidabilità è, certamente, comprovata, sono sottoposte a controlli multipli dalle agenzie regolatorie dei paesi di appartenenza, nonché dei paesi che acquistano i loro farmaci.
L’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco, ente regolatorio che vigila sui farmaci, dichiara che, con il termine biosimilare, viene indicato un medicinale, autorizzato in Europa, ad esito di una procedura registrativa, simile ad un prodotto biologico già autorizzato. Ne promuove l’uso e la prescrizione in una dichiarazione confermata, nel 2012, da EMA (Agenzia Europea del Farmaco) organismo che autorizza, nella regione europea, l’entrata in commercio di questi farmaci.
Questi trattamenti, quindi sono sottoposti agli stessi controlli di un originator.
I produttori dei farmaci biosimilari, prima di avere l’autorizzazione all’entrata in commercio, devono produrre studi molto complessi, studi che si focalizzano su alcuni punti.
Si affermava che la diversità, sia di concentrazione plasmatica sia di principio attivo, può anche essere del 20%. Questo è un errore colossale. Il 20% è l’intervallo di confidenza, che da un punto di vista statistico, vuol dire che lo scostamento da un originator a un generico può essere, al massimo dell’ordine di 2-1 %.
Queste conoscenze noi non le abbiamo e siamo ostacolati da un retaggio, molto antico, di ostracismo nei confronti di questi farmaci, perché nell’immaginario collettivo, questi generi vengono prodotti in chissà quale tugurio.
Le aziende che producono farmaci generici, hanno siti di produzione all’avanguardia e una tecnologia equivalente a quella dei produttori di branded. Addirittura, alcuni farmaci, sia branded che similari, vengono prodotti negli stessi siti. Quindi vuol dire stesso medicinale, stessi eccipienti.
Com’è l’impatto dei farmaci antiretrovirali in Italia? Una premessa: il Sistema Sanitario Nazionale italiano è certamente all’avanguardia, tra i più tutelanti e, moltissimi studi di ricerca indipendenti lo definiscono tra i più avanzati. Il sito stesso, del SSN, riporta che viene offerta assistenza sanitaria a tutti i cittadini, senza distinzione di genere, di provenienza, di età, di reddito e lavoro. Si basa sul principio fondamentale della tutela della salute, a differenza, per esempio, dell’America in cui, per accedere ad una terapia, il paziente deve avere un’assicurazione, in caso contrario o accede a programmi di charity oppure deve provvedere all’acquisto dei farmaci.
Purtroppo, però, il SSN, in Italia, è in forte crisi. Il finanziamento pubblico, nel decennio dal 2010 al 2019, tra tagli e definanziamenti, ha sottratto al SSN circa 37 miliardi, come dichiarato dalla Fondazione Gimbe, istituto di ricerca farmaco-economica.
AIFA ogni anno produce il rapporto OSMED sul consumo dei farmaci, in generale, nel nostro paese. Nello specifico, per l’HIV, sono stati spesi, in Italia, 671 milioni per acquistare trattamenti da parte degli ospedali italiani. Da questa analisi emerge, inoltre, che, ogni anno, vengono diagnosticati, nel nostro paese, circa 3500 pazienti con HIV, con una spesa pro-capite di 11,00 euro/giorno per le medicine ed un costo medio che si aggira intorno ai 10mila euro all’anno. Ciò significa che, ogni anno, il nostro SSN deve compensare questi ipotetici 35 milioni modificando il sistema in generale o il sistema di cura dell’HIV.
Costo e sostenibilità: il rapporto Osmed dichiara, da ben 10 anni, che negli ambiti degli acquisti delle strutture sanitarie pubbliche, gli antivirali, per il trattamento delle infezioni da HIV da associazione, si confermano la prima categoria in termini di spesa. Un dato preoccupante. Talvolta medici e infettivologi si adoperano per raggiungere un equilibrio, cercano soluzioni per continuare a mantenere in cura i pazienti e compensare le 3500 persone che entrano, in più, ogni anno. I differenziali di spesa tra l’anno precedente e il successivo sono, praticamente, rimasti invariati e, attraverso operazioni di ogni singola regione, si è riusciti, da un lato, ad introdurre farmaci generici, dall’altro a negoziare con aziende farmaceutiche prezzi diversi da quelli riportati nelle tabelle. Un dato allarmante, del rapporto AIFA, ci indica la percentuale, bassissima, di quanti trattamenti antiretrovirali vengono utilizzati nel nostro paese.
Una rappresentazione grafica del rapporto OSMED su quanto spendono le regioni nel nostro paese mostra come, in Emilia Romagna, per esempio, si curano più persone spendendo meno, così come in Lombardia e nel Lazio. In altre regioni, invece, esistono inappropriatezze prescrittive e curarsi è, apparentemente, molto più costoso.
In uno stato, ovviamente, in situazione di forte stallo, una buona soluzione sarebbe quella di centralizzare gli acquisti portando una maggiore qualità ai pazienti. E’ chiaro che ci possono essere poteri contrattuali differenti a seconda della capienza dell’ospedale, però in un sistema tutto dovrebbe funzionare in maniera equa.
Vediamo cosa succede nel mondo. Ci aiuta UNAIDS, che fa costantemente un’analisi delle persone che accedono al trattamento a livello internazionale. Sono dati entusiasmanti. Da un rapporto del 2016 notiamo che su 17 milioni di persone in trattamento, 14 milioni ricevono la terapia con i farmaci generici. Con tutti i limiti del raggiungimento del 90 90 90 e con stati africani che hanno raggiunto risultati ottimi, rispetto alla soppressione virale, possiamo affermare che, i farmaci antiretrovirali stanno, indubbiamente, funzionando perchè hanno abbattuto le morti quasi nella totalità dei paesi.
Considerando che, nel 2015, erano solo 17 milioni le persone che potevano accedere al trattamento, nel 2019 sono diventate 24 milioni. Aumenta dunque, ulteriormente, la quota dei programmi più importanti di contenimento all’HIV e di contrasto all’HIV che acquistano farmaci generici.
Nel rapporto di UNAIDS si parla delle prime cinque aziende produttrici di farmaci antiretrovirali. Sei milioni di persone vengono trattate con le loro terapie ed è evidente che aziende che offrono trattamenti ad un numero così alto di pazienti, sono colossi dell’industria farmaceutica.
Il governo del Sudafrica e del Kenya sta riuscendo a garantire, ai propri concittadini, l’accesso al trattamento con un costo di 75 dollari all’anno! E’ evidente che c’è una grande disequità tra quello che sono i costi e quello che sono le vendite, e, anche qui, circa il 70% delle prescrizioni del sistema sanitario sono su farmaci generici.
Che cosa ne dice chi li prescrive
Andrea Antinori
I detrattori dei generici, in campo antiretrovirale, dicono, fondamentalmente, due cose. La prima riguarda il famoso 20% che aumentando ad oltranza diventa inaffidabile. Falso, quando si parla di 20% si indica quella variabilità statistica o limite di confidenza, per cui non è la media della variabilità che si sposta, ma solo la punta di tale variabilità. In realtà, gli studi hanno una variabilità molto più stretta.
Seconda cosa: è che le autorità regolatorie, per esempio EMA (Agenzia Europea del Farmaco), per poter approvare un farmaco generico a scadenza brevettuale, o addirittura prima di tale scadenza, non fa uno studio clinico sul farmaco, perché è ovvio si tratta di farmaci già sottoposti ad approfonditissimi studi clinici. L’EMA chiede che ci siano studi di bioequivalenza. Esempio: si prendono persone, generalmente volontari sani, alle quali viene somministrato il farmaco branded per un certo periodo, misurando le concentrazioni nel sangue. Successivamente viene sospeso, si fa un washout (periodo in cui i pazienti non ricevono alcun trattamento per rimuovere i farmaci utilizzati dal loro corpo) e, solo successivamente, alla stessa persona si somministra il generico. Se, alla fine di questo percorso, le due curve sono, sostanzialmente, uguali, entro i famosi limiti di confidenza del 20%, si può affermare che i due prodotti sono, farmacologicamente, la stessa cosa.
Non sono necessari studi clinici per registrare farmaci generici. Lo studio clinico sul farmaco generico è scientificamente assurdo.
E’ ancora logico utilizzare vecchi farmaci, generici o branded, all’interno di schemi moderni? Potrebbe essere sacrosanto e, addirittura, scientificamente, esatto.
In riferimento alla dual therapy, in questo momento la Dolutegravir/, è uno dei migliori regimi e comprende un generico fino a quando la ViiV Healthcare non lancerà, sul mercato, una singola compressa (Dovato), verso la fine di quest’anno. Ricordiamo che la Lamivudina Mylan ha un costo bassissimo imposto da AIFA.
Ma il quesito più importante è, la Lamivudina è ancora valida in rapporto all’uso dei nuovi farmaci?
Un’analisi del 2016 di Anton Pozniak, presidente della IAS, uno dei massimi esperti mondiali di HIV, ha confermato la validità dei farmaci generici.
Ma allora perché non si usano? E’ chiaro che ci sono i pregiudizi: forse non funziona, costa troppo poco, non esistono studi clinici, ci si sente cavie.
Nel rapporto OSMED, la spesa per compartecipazione risulta più alta nelle regioni d’Italia che in quelle, apparentemente, più povere. In sostanza, chi ha meno reddito è disposto a pagare un presunto vantaggio che, in realtà, scientificamente, non esiste.
Uno studio effettuato da infettivologi di Chennai, India, in collaborazione con infettivologi americani importanti dimostrano che, in una serie di pazienti trattati con Dolutegravir generico, la sovrapposizione in termini di efficacia e di effetti collaterali è perfettamente corrispondente a quella del Dolutegravir branded della ViiV.
In questo momento in Italia, non abbiamo regimi esclusivamente generici, quello che abbiamo a disposizione è un farmaco branded + un generico, mai il triplo generico o il doppio generico.
Di fatto, i regimi più economici hanno il generico all’interno della terapia con conseguente abbattimento dei costi.
Esistono due situazioni estreme. Una in cui abbiamo un farmaco che costa meno ed è più efficace, quindi dominante sui competitor. Nella situazione opposta abbiamo un farmaco che costa di più ed è meno efficace. Queste due condizioni non prevedono, ovviamente, analisi di costi ed efficacia. Sarebbe, quantomeno, necessario porsi alcune domande: quanto deve costare di più un intervento o un farmaco, in rapporto al beneficio di salute che da al paziente? Quanto posso tollerare un effetto minore se il costo è effettivamente di meno?
Se un paese povero, deve decidere una policy sanitaria, ha la necessità di fare anche questo tipo di ragionamenti.
Ci fu, nel 2013, un’intervista ad una famosa esperta di farmacoeconomia, Rochelle Walensky, che fece impressione su scala globale, in quanto, riguardo ai tre farmaci Tenofovir + Lamivudina + Efavirenz in 3 compresse, dichiarò che, pur essendo una coformulazione leggermente meno efficace, era talmente alto il vantaggio in termini economici, che la definì tollerabile.
Il London Consortium, nella città di Londra, enorme enclave in cui convergono la maggior parte dei pazienti HIV di tutta l’Inghilterra, alcuni anni fa, per una sorta di joint venture tra medici e amministratori, fece partire questo grande trattamento, basato sull’abbattimento del costo, con obiettivi di budget di riduzione complessivi, sul territorio di Londra, molto forti. Fu uno scandalo. Le aziende farmaceutiche, ovviamente, non erano d’accordo e molti opinion leader si schierarono contro. Furono reclutate le associazioni inglesi per fare una strategia di sanità pubblica virtuosa senza incidere sulla pelle della gente. E, in una logica in cui la responsabilità sociale è molto alta, tutte le associazioni risposero a questa call. Se combineremo intelligentemente, eticamente, geneticamente le due tipologie di farmaco, riusciremo a sostenere lo sviluppo.
Una grande conquista della tecnologia farmaceutica è la STR (single tablet regimen). Si è passati da 12 compresse a una. Dal punto di vista dell’efficacia, i dati, prodotti all’interno della Corte Icona, ci dicono che la potenza dell’inibitore dell’integrasi è talmente elevata come standard che, non fa alcuna differenza se ci sono una o due compresse.
Un buon medico se lo deve porre il problema nel momento in cui sta somministrando questi farmaci. Valutare la situazione clinica generale del paziente è di estrema importanza.
Iniziativa resa possibile grazie al supporto incondizionato di