Rapporti sessuali e responsabilità penale delle persone HIV+ in Italia

ANTEPRIMA DELTA 28 – Molte volte ci siamo chiesti quale sia l’orientamento della giurisprudenza in materia di contagio e abbiamo chiesto all’Avv. Paolo Cichetti di fornirci informazioni adeguate.
Riceviamo spesso telefonate di persone che scoprono di essere HIV positive e che, nel periodo che segue l’angoscia di questa notizia, ci dicono di sapere con certezza chi li ha contagiati. Poi, nella conversazione, apprendiamo spesso che la persona aveva rapporti occasionali con persone di cui non conosceva lo stato sierologico o che le analisi fatte in precedenza, seppure ne avesse fatte, non erano recenti. Altre volte invece, ci dicono di aver avuto rapporti ripetuti e non protetti con una sola persona che sapeva di esserlo e non li aveva avvertiti.

Avv. Cichetti:“Il nostro ordinamento non ha optato, per prevenire e reprimere i reati che possono configurarsi nel caso di contagio, o rischio di contagio da HIV, con l’adozione di norme incriminatrici speciali, ma ha scelto, a differenza di altri paesi, di utilizzare le fattispecie già codificate. A parte il delitto, doloso (art. 438 c.p.) o colposo (art. 452 c.p.), di epidemia provocata mediante la diffusione di germi patogeni, fattispecie per la quale risulta praticamente impossibile dimostrare il rapporto di causalità tra il comportamento dell’agente e la diffusione epidemica, le figure delittuose più attinenti al tema in questione sono i delitti di omicidio e di lesione personale.”


Lesione personale se si causa sieropositività, tentato omicidio se si causa uno sviluppo precoce della malattia, cioè dell’AIDS.


Avv. Cichetti: “Presupposto il riconoscimento, a norma del codice penale, della sieropositività come malattia, più precisamente come malattia a trasmissione sessuale, quale sarà la fattispecie applicabile, qualora al rapporto sessuale a rischio faccia seguito il contagio di una persona, visto che l’evoluzione della sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) conduce alla morte ? Quella del tentato omicidio o quella, pacificamente ammessa, delle lesioni personali aggravate? Una pronuncia del Tribunale di Roma esclude l’esistenza di un nesso causale necessario tra la contrazione della sieropositività e quella dell’AIDS conclamata, pertanto, nel caso in cui la vittima del contagio si trovi nella fase di latenza clinica che caratterizza lo stato di sieropositività, la fattispecie delittuosa sarà quella della lesione personale aggravata ex art. 582 c.p., e non quella del tentato omicidio, non potendo essere ravvisata nel comportamento del colpevole una condotta idonea a cagionare la morte della vittima ; il tentato omicidio, tuttavia, potrà trovare riscontro qualora la vittima del contagio abbia precocemente sviluppato la fase conclamata della malattia dalla quale discende, in modo sostanzialmente inevitabile, la morte .


Nella maggior parte dei casi si configura il reato di colpa aggravata e non di dolo per la persona con HIV.

Avv. Cichetti: “Nell’ambito dei delitti consumati è opinione prevalente, a proposito dell’elemento psicologico del reato, che il contagio per via sessuale debba essere ascritto all’agente, (colui che agisce, ossia la persona con HIV, n.d.r.) almeno nella grande maggioranza dei casi, a titolo di colpa aggravata dalla previsione dell’evento, perché l’agente, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verifichi. In questi casi l’agente agisce nella convinzione, giusta o sbagliata che sia, che l’evento, cioè il contagio, non si verificherà .”


In caso di morte del soggetto infettato, all’interno di relazioni sessuali ripetute nel tempo, si parla di omicidio doloso se il soggetto infettante era consapevole del proprio stato sierologico e non lo ha comunicato.


Avv. Cichetti: “Tuttavia, nelle relazioni sessuali protratte nel tempo connotate sia dall’assenza di precauzioni tese a ridurre il rischio, sia dalla mancata comunicazione al partner sessuale dello stato di sieropositività, in caso di morte di quest’ultimo l’ipotesi delittuosa sarà molto probabilmente caratterizzata dal dolo eventuale, cioè dall’accettazione del rischio, per cui risponderà a titolo di dolo l’agente che, pur non volendo l’evento, accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo . Nonostante questo orientamento giurisprudenziale una importante sentenza della Corte di Cassazione , relativa a un caso di contagio – dal marito alla moglie, successivamente deceduta – ha invece individuato la fattispecie delittuosa nell’omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento, artt. 589 e 61 n. 3 c.p., modificando l’imputazione originaria che riteneva l’agente colpevole del reato di omicidio volontario aggravato con dolo eventuale, art. 575 c.p. La Cassazione, con la sua interpretazione fondata su una diversa valutazione dell’elemento psicologico, ha condannato l’imputato alla pena di 4 anni di reclusione, modificando sensibilmente la pena indicata dal tribunale che ne prevedeva 14.”


Sanzionato anche il rapporto ripetuto nel tempo, senza protezione, che non contagia: tentate lesioni personali


Avv. Cichetti: “Passiamo ora all’ambito del delitto tentato, che si ha quando al rapporto sessuale a rischio, trascorso un adeguato lasso di tempo (periodo-finestra), non segue la trasmissione dell’infezione da HIV. Data l’incompatibilità tra la struttura normativa del dolo eventuale e quella del tentativo, si potrà parlare di tentativo punibile, e quindi di dolo diretto, solo quando il rapporto potenzialmente contagiante non sia occasionale, ma integri una vera e propria relazione sessuale cosicché il rischio di contagio diventa probabile. L’agente accettando il rischio accetta – proprio a causa della probabilità del suo verificarsi – l’evento e, quindi lo vuole. Quando il rapporto sessuale non protetto si trasforma da “azione isolata” ad “attività” acquisisce l’efficienza causale a trasmettere l’infezione da HIV. Nel primo caso, visto che il rischio di contagio è solo possibile o addirittura raro, saremo nell’ambito del delitto impossibile per inidoneità della condotta, nel secondo caso invece, le fattispecie criminose, connotate dal dolo, saranno quelle delle lesioni personali aggravate dolose, consumate o tentate a seconda del verificarsi o meno del contagio.


In caso di rapporti occasionali sarà più complesso individuare l’identità dell’autore del contagio visto che la persona infettata potrebbe aver avuto altri rapporti a rischio anche con differenti partners.


Avv. Cichetti: “La dimostrazione del nesso di causalità è un tema particolarmente complesso tanto più se si tratta di un singolo contatto sessuale, non potendosi infatti escludere che la vittima abbia contratto altrimenti la patologia. Nel caso contrario, cioè quando il contatto sessuale si concretizza in una relazione protratta nel tempo, risulterà sicuramente più facile individuare l’autore del contagio. Infine, ha valore discriminante sulla punibilità del reo il consenso della persona offesa, cioè della vittima del contagio? No, perché l’art. 5 c.c. vieta gli atti di disposizione del proprio corpo produttivi di una diminuzione permanente dell’integrità fisica.”


In sintesi, la responsabilità del contagio è esclusivamente di coloro che sono già infettati, se sanno di esserlo. E ciò può comportare una volta in più un incentivo a non fare il test per non sapere.


Avv. Cichetti: “In conclusione, c’è da osservare che l’uso delle sanzioni penali e la criminalizzazione dei rapporti sessuali non protetti, finisce con il porre l’intera responsabilità della prevenzione del contagio su coloro che sono già stati infettati, il che contrasta con il prevalente orientamento in tema di sanità pubblica per cui ogni persona, indipendentemente dalla propria condizione sierologica, deve adoperarsi per proteggere se stesso e il prossimo dal contagio (a tale proposito la giurisprudenza non definisce esplicitamente il concetto di rapporti sessuali protetti e non protetti, affidandosi al cosiddetto senso comune e ciò implicitamente ammette che l’uso del preservativo rappresenta un modo di avere un rapporto sessuale protetto n.d.r.). Va inoltre sottolineato che, poiché la responsabilità penale deriva dalla consapevolezza del proprio status da parte della persona con HIV/AIDS, potrebbe profilarsi come vantaggioso, a questo riguardo, non acquisire, attraverso il relativo test, tale consapevolezza, con ciò inficiando diffusione ed efficacia dei programmi di prevenzione basati sull’accertamento sierologico” .


In generale, il quadro che ne emerge è quello di una giurisprudenza orientata a colpevolizzare la persona già infetta, visto che anche il consenso del partner ad avere rapporti sessuali non protetti non diminuisce la responsabilità della persona che contagia, pur essendo tutti consapevoli dell’esistenza di malattie a trasmissione sessuale e dei rischi che ne derivano.