L’Aids, i farmaci e i brevetti

Neppure due settimane fa, in occasione del vertice dell’OMC a Cancun, i paesi industrializzati hanno tentato in tutti i modi di evitare un accordo che desse ai paesi del Sud la possibilità di acquistare farmaci «generici» per trattare malattie killer come Aids, tubercolosi o malaria. E alla fine ci sono riusciti. L’accordo fatto limita al massimo i casi in cui un paese potrà legittimamente acquistare «generici» prodotti dai paesi che ne sono capaci (come India, Brasile o Thailandia). Ieri però gli ambasciatori, ministri o capi di stato di quei medesimi paesi industrializzati, riuniti all’Assemblea generale dell’Onu, hanno assentito con espressioni gravi e comprese quando Kofi Annan ha lanciato l’ennesimo allarme sull’Aids («La malattia sta galoppando più in fretta delle misure per combatterla»). O quando il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità, Lee Jong-Wook ha detto che il mondo deve trattare l’Aids come un’emergenza globale «proprio come alluvioni, terremoti, l’epidemia di Sars o la guerra in Iraq». Pochi dati sintetizzano il problema. L’agenzia specializzata dell’Onu per l’Aids dice che alla fine del 2002 c’erano nel mondo 42 milioni di persone infette dal retrovirus Hiv, la stragrande maggioranza in paesi «in via di sviluppo», e il picco dell’infezione non è ancora raggiunto. Di quei 42 milioni, tra 5 e 6 milioni di persone hanno già sviluppato la Sindrome da immunideficenza acquisita. Tre quarti delle persone infettate si trovano nell’Africa sub-sahariana, fa notare l’Unaids, dove 4,1 milioni di persone hanno sviluppato la malattia e hanno bisogno di farmaci antiretrovirali. E però appena l’1% di queste persone ha accesso ai farmaci, circa 50mila persone. Altro dato impressionante: metà delle persone infette da Hiv nel mondo sono donne, e quasi il 60% nell’Africa subsahariana, ovvero 18 milioni: il direttore di Unaids per l’Africa si è detto impressionato dalla «rapida femminilizzazione della pandemia». In tutto il Sud del mondo circa 300mila persone ricevono un trattamento farmacologico per l’Aids, contro quei 5 o 6 milioni che ne avrebbero bisogno (l’Aids non si cura, ma si possono curare o tenere sotto controllo le malattie associate, con l’effetto di allungare e rendere più decente la vita del malato). Guardacaso: metà di quei trecentomila «privilegiati» vivono in Brasile, un paese che da anni ormai fa una politica di diffusione capillare delle cure anti-aids (e di prevenzione) nelle strutture sanitarie pubbliche. E il Brasile ha potuto farlo perché ha prodotto i farmaci necessari in deroga ai brevetti, tenendo testa a pressioni indicibili da parte delle aziende farmaceutiche occidentali, con il governo degli Stati uniti che gli aveva fatto causa al Wto… La morale della favola sembra fin troppo chiara: il costo dei farmaci, e dunque i brevetti, sono il primo ostacolo alla diffusione di cure per l’Aids (ma lo stesso si dovrebbe dire di malaria, tubercolosi, dengue e innumerevoli altre malattie perfettamente curabili che però continuano a uccidere in massa). Poi, certo, la lotta all’Aids sconta altri ostacoli, dalla volontà politica dei governi e l’efficienza delle strutture sanitarie nei paesi più colpiti, ai pregiudizi che ancora emarginano i malati (in Cina ad esempio) – fino all’impegno dei paesi ricchi a contribuire. Si pensi al Global Fund, lanciato in modo solenne durante il G8 di Genova nel luglio 2001: allora si parlò di 7 miliardi di dollari all’anno; finora il Fondo ha sborsato 110 milioni di dollari (in due anni). Ieri il segretario generale dell’Onu ha ricordato l’obiettivo di distribuire farmaci a almeno 3 milioni di persone infette da Hiv entro il 2005 e fermare la malattia entro il 2015. L’Unaids fa notare che per tener fede a questi obiettivi bisogna che il mondo spenda almeno 10,5 miliardi di dollari all’anno per prevenzione, cure, farmaci da qui al 2005, ovvero il doppio della spesa attuale. Chissà se impegni, promesse e indignazione resisteranno più di 24 ore.