ICAAC 2010 – ANTICIPAZIONE DELTA 51

Direttamente dal nostro direttore Filippo von Schloesser, a Boston per la conferenza ICAAC (50-esima edizione) che si è svolta dal 12 al 15 settembre 2010.

SIMPOSIO SULLA GESTIONE CLINICA IN HIV

Centrato sulle patologie correlate e sul futuro della gestione terapeutica, approfondisce temi già noti: malattia cardiovascolare (CV), interpretazione del rischio CV da abacavir, immunosenescenza e infiammazione cronica, rischio di fratture.

Strategie per l’osteoporosi

T. Brown (Univ. Baltimora) spiega l’importanza della prevenzione di questa patologia, molto frequente nelle persone in età più adulta. Le fratture sono una delle fonti di morbosità e mortalità, ma la osteoporosi (la possibile causa) resta silente fino al momento della frattura stessa. Tuttavia l’osteopenia e l’osteoporosi possono essere diagnosticate in fase pre-clinica precedendo e prevenendo le fratture.

In generale, la prevalenza di osteoporosi in persone con HIV è del 15%: da una metanalisi risulta una odd ratio (OD 3.68 vs HIV negativi) di 368 volte maggiore. E’ proprio nella popolazione oltre i 50 anni che si apre la forbice della patologia la cui eziologia è multifattoriale: i tre elementi caratterizzanti sono, come in altre patologie, l’ospite, l’infezione, la terapia. Alcuni studi correlano in particolare l’effetto degli IP su di essa (a livello spinale) ed è stata dimostrata la correlazione (sia spinale sia all’anca) del tenofovir, ma per entrambi ne resta da comprendere il significato clinico ed il meccanismo.

Sembra che il nadir di CD4 prima della terapia sia associato alla diminuzione di densità minerale ossea, nella donna si aggrava con la menopausa ed i problemi ormonali conseguenti. Comunque i rischi legati all’ospite sono: basso peso corporeo, fumo, uso di alcol o oppioidi, ipogonadismo, inattività fisica, bassi livelli di vitamina D.

Il ricercatore conferma, quindi, che la DEXA è necessaria in tutte le donne in menopausa e negli uomini con oltre 50 anni.

I non responder immunologici

P.W.Hunt (Univ. S.Francisco), confermando che le principali cause di morte sono legate a patologie non-AIDS correlate, nota che la maggior parte di esse è collegata all’età anche nei pazienti in terapia per HIV.
In particolare elenca la malattia ossea, quella cardiovascolare, i tumori, il fegato, i reni, la malattia neurocognitiva, le infezioni non AIDS correlate. Ma non tutte queste patologie sono collegate a un basso valore di CD4 ed è noto che il miglioramento del numero di CD4 non diminuisce l’incidenza delle patologie elencate. Dunque, se le patologie sono più comuni in presenza di HIV, forse bisogna considerare, oltre allo stile di vita, anche l’infiammazione permanente. I fattori infiammatori aumentano con l’aumento dell’età e lo studio SMART ha dimostrato che i marker infiammatori sono fortemente associati alla mortalità e agli eventi cardiovascolari letali e non.

Uno dei fattori eziogenici potrebbe essere la carica virale residua e la traslocazione microbica intestinale che persiste nonostante la terapia antiretrovirale.

Il ricercatore sottolinea che i non responder immunologici devono essere valutati con la stessa serietà dei fallimenti virologici. Inoltre, la persistente immunoattivazione e infiammazione possono essere collegate fortemente alle molte patologie non-AIDS correlate e l’infiammazione persistente può accelerare l’immunosenescenza. Solo studi più approfonditi della patogenesi dell’infiammazione daranno risposte precise per migliorare il recupero immunologico al di là dei CD4.

Riduzione del rischio cardiovascolare

J Lundgren (Univ. Copenhagen) ha elencato i fattori di rischio tradizionali, tra cui il fumo, che ha anche effetti devastanti sui tumori e sulle infezioni batteriche, i lipidi (il rapporto più alto tra colesterolo totale e HDL rappresenta il vero fattore di rischio, insieme ai bassi livelli di HDL), i trigliceridi (l’uso di fenofibrati per diminuirne i valori non è stato dimostrato in modo convincente).

Se l’interruzione della HAART diminuisce l’HDL (SMART e INSIGHT), aumentano viceversa i marker di infiammazione e quindi di rischio cardiovascolare. Di conseguenza, ridurre la replicazione virale con la terapia significherebbe una diminuzione di rischio CV. Ma come si riesce a valutarne il beneficio? Di fatto dallo studio DAD era emerso che la HAART aumenta il rischio CV. Ma, ammette Lundgren, il DAD non ha raccolto i dati della popolazione non in HAART. Inoltre vi è da considerare che le persone con storia di droghe iniettive sono più soggette a trombo-embolie venose (coorte danese 2010).

Per quanto riguarda il possibile rischio CV da abacavir, una possibile interpretazione è data da uno dei metaboliti attivi dell’abacavir che ha una struttura simile alla guanosina trifosfato e quindi interferisce con i meccanismi enzimatici delle piastrine aumentandone l’attività e, di conseguenza, aumentando il rischio di infarto. Quanto affermato da Lundgren sembra smentito da uno studio (poster H-230A, Diallo, Parigi, Hospitalier Bichat) che nega l’attivazione e l’aggregazione piastrinica e l’attività pro-coagulante dell’abacavir ipotizzando che il potenziale pro-trombotico potrebbe essere dovuto dall’associazione con altri farmaci o dal contesto infiammatorio presente nei pazienti con HIV.

In sintesi, è necessario utilizzare le evidenze della malattia CV che si applicano alla popolazione generale. Il rischio-beneficio della HAART rimane incerto e le evidenze non sono sufficienti, sostiene Lundgren, per suggerire l’interruzione di terapia.

NUOVI FARMACI/NUOVE FORMULAZIONI/NUOVI STUDI

Nevirapina (Viramune) a rilascio lento una volta al giorno, somministrata a 505 pazienti per 48 settimane fornisce una risposta virologica nell’81% delle persone in terapia versus il 75% dei pazienti (495) trattati con la vecchia formulazione a rilascio immediato, con minori fluttuazioni nel picco di concentrazione plasmatica (slide H-1808).

Nasce il Festinavir, nuovo NRTI in fase di passaggio dal laboratorio alla clinica (poster H-924), dopo aver fornito dati promettenti sull’attività antivirale e la non tossicità.

GSK2248761, NNRTI di nuova generazione, è stato studiato a vari dosaggi tra i 30 e gli 800 mg QD. I dosaggi da 100 a 800 mg in monoterapia per 7 giorni in persone mai trattate, hanno mostrato una diminuzione media della viremia di -1,8 log ed è ben tollerato (poster A1-2011). Inoltre si è dimostrato che è un debole inibitore del CYP3A4 e che gli IP potenziati con ritonavir ne hanno aumentato l’esposizione di < 2 volte. Il potenziale di interazioni in somministrazione con altri antiretrovirali è basso, in particolare con Kaletra e DRV/r (poster A1-2010). Non presenta riduzione della concentrazione con omeprazolo (poster A1-2010/18).

Presentati vari studi su Raltegravir (Isentress):

  • La presenza di mutazioni che conferiscono resistenza al farmaco dopo il fallimento virologico, fornisce dati eterogenei (poster H-914): tra i pazienti che continuano a usare raltegravir, quelli che non presentano mutazioni hanno miglior risultato virologico e immunologico, mentre in coloro in cui si rilevano le mutazioni, la N155H appare quella che a 48 settimane fornisce la migliore risposta virologica, ma non immunologica.
  • La soppressione virale viene raggiunta con maggior velocità nel braccio raltegravir rispetto ai bracci di paragone. In particolare la risposta virologica si correla con una più veloce normalizzazione del rapporto CD4:CD8, marcatore tipico di disfunzione immunitaria (poster H-206).
  • Gli effetti degli antiacidi sulla farmacocinetica del raltegravir dimostrano che, in presenza di Maalox, la concentrazione di raltegravir è raggiunta in tempo più breve (2 ore), ma vi è una riduzione del 67% della stessa dopo la quinta ora dall’assunzione. Tale diminuzione è misurata in 15 ng/mL, ovvero il 95% della concentrazione inibitoria. Pertanto sono necessari ulteriori studi per comprendere se tale concentrazione sia clinicamente insufficiente o se vi siano interazioni simili anche con l’assunzione di cibo o di vitamine. Si suggerisce particolare cautela nella somministrazione di antiacidi con raltegravir (poster A1-2013). Data la sua particolare farmacocinetica, sembra però che non vi siano effetti clinici da registrare.
  • Raltegravir BID + atazanavir (Reyataz non boosterato)QD a 48 settimane come semplificazione per intolleranza su pazienti non in fallimento virologico (poster H-205): il regime a due farmaci mostra un successo virologico nell’83% dei pazienti, non offre miglioramento dei lipidi e presenta livelli di concentrazione bassi di atazanavir a 24 ore dall’ultima somministrazione, che tuttavia non sembrano annunciare fallimento. Si attendono i dati a 96 settimane.

    TMC 278 (rilpivirina, RPV), studi ECHO e THRIVE (slide H-1810) su pazienti naive. Arruolati 690 pz nel braccio rilpivirina e 678 in quello con efavirenz (con Truvada o 2 NRTI). Il successo virologico a 48 settimane è dell’77% nel braccio RPV e dell’81% nel braccio efavirenz nei pazienti con viremia maggiore di 100.000 copie. Fallimenti virologici: 10% nel braccio RPV e 6% in quello efavirenz. I fallimenti da RPV presentano per il 63% almeno una mutazione NNRTI e quelli da efavirenz per il 54%. Eventi avversi di grado 2-4 per il 16% alla RPV e per il 31% all’efavirenz. Di questi, il 17% nel braccio RPV sono neurologici e il 15% sono psichiatrici (contro rispettivamente il 31% e il 38% del braccio efavirenz). Dimostrata la non inferiorità del TMC 278, ma non certo la sua superiorità sull’efavirenz, sia da un punto di vista virologico che di effetti collaterali. Se questi dati si confermeranno, riteniamo difficile una collocazione di questo farmaco nell’armamentario per l’HIV.

    QUAD, regime composto da Elvitegravir/Cobicistat/Emtricitabina/Tenofovir, studio di efficacia a 48 settimane su pazienti naive con braccio di paragone atazanavir/r. Mentre i dati di successo virologico sono analoghi nei bracci in studio, dimostrando la non inferiorità del braccio con Cobicistat, anche con quest’ultimo si sono riscontrati valori di colesterolo non migliori al braccio con ritonavir. Ci aspettavamo dati più tranquillizzanti sulla tossicità.