EACS/MADRID: COMPLICANZE IN HIV

Rendiamo disponibile in anteprima parte del report di Delta n.38 (in distribuzione in dicembre 2007) dell’11-esima Conferenza Europea sull’AIDS/EACS Madrid, 24-27 Ottobre 2007 Dai nostri inviati Marcotullio, Osorio, Schloesser.
Osteopenia frequente nelle persone HIV+ naive (Valecillo G., P9.7/07) – Anche in questa categoria di pazienti, l’infezione cronica da HIV si associa ad una elevata prevalenza di ridotta densità ossea, in particolare a livello del femore. La densità ossea è stata misurata mediante DEXA a livello del collo del femore e delle vertebre lombari (L1-L4) in 97 persone HIV+ naive (76 uomini e 21 donne; età media 35.7 e 36 anni, ; BMI 23.1 e 21.9; CD4 456 e 504, rispettivamente). In generale, la presenza di osteopenia (1) e osteoporosi (2) erano presenti rispettivamente (1) nel 52.6% degli uomini e nel 57.1% delle donne, (2) nel 18.4% e nel 9.5% dei casi. A livello del femore: (1) 51.3% degli uomini e nel 6.7% delle donne e (2) nel 14.55 e 4.8% dei casi. A livello vertebrale: (1) 42.1% degli uomini e nel 33.3% delle donne, (2) nel 2.6% e 4.8% dei casi (p = 0.01). L’unico fattore risultato associato con la presenza di osteopenia era un basso BMI in entrambi i sessi (analisi multivariale). Secondo gli autori dello studio, questi dati suggeriscono che la riduzione della densità ossea è un evento frequente anche nelle persone HIV+ che non hanno mai ricevuto terapia antiretrovirale.

Intima carotide più spessa nei pazienti con lipodistrofia (Freitas P., P9.5/04) – Lo spessore dell’intima della carotide, un marker surrogato di aterosclerosi, è aumentato significativamente nei pazienti HIV+ con lipodistrofia. Lo studio ha incluso 151 pazienti, di cui 54 senza lipodistrofia (SL) e 97 con lipodistrofia (CL). I pazienti CL erano più anziani di quelli SL, avevano una durata maggiore dell’infezione ed erano da più tempo in trattamento antiretrovirale. Inoltre, presentavano minori valori di BMI e di circonferenza addominale. Lo spessore dell’intima della carotide è risultato significativamente più elevato nei pazienti CL (0.78+-0.25 mm) che in quelli SL (0.74+-0.26 mm; p = 0.02). Inoltre, esso si correlava significativamente con l’età (r = 0.71; p < 0.001), il BMI (r = 0.25; p = 0.02), la circonferenza addominale (r = 0.34; p < 0.01), il colesterolo totale (r = 0.25; p = 0.003), la proteina apoA1 (r = 0.21, p = 0.02), la proteina apoB (r = 0.22; p = 0.01), la pressione arteriosa sistolica (r = 0.44; p < 0.001) e diastolica (r = 0.22; p = 0.008) e la proteina C-reattiva (r = 0.18; p = 0.03). Secondo gli autori dello studio duqnue, questi dati evidenziano che la aterosclerosi, espressa attraverso il marker surrogato dello spessore dell’intima della carotide, è più frequente nei pazienti HIV+ con lipodistrofia.


Maggiore durata di esposizione alla ART si associa ad un più elevato rischio di insulino-resistenza (Cicconi P., P9.2/04) – Lo studio, cross-sectional, ha incluso 1404 pazienti (età mediana 44 anni; 40% HCV+; tempo mediano di esposizione alla ART 8.8 anni; 4.3% naive). La prevalenza di insulino-resistenza è stata del 37.3%. E´stata documentata una associazione significativa tra l’insulino-resistenza e maggiore durata dell’esposizione alla ART: ogni 2 anni di maggiore esposizione alla ART l’odds ratio dell’insulino-resistenza aumentava del 19% (odds ratio: 1.19; 95% CI 1.12-1.27). Rispetto ai pazienti naive, il rischio di insulino-resistenza aumentava significativamente per esposizioni alla ART di durata superiore ai 4 anni (odds ratio: 2.8; 95% CI 1.1-7.0) e rimaneva significativo anche dopo 16 anni di ART (odds ratio: 3.7; 95% CI 1.2-2.0). Altri fattori associati sono risultati la coinfezione con HCV (odds ratio: 1.5; 95% CI 1.2-2.0), il sesso maschile (odds ratio: 1.4; 95% CI 1.1-1.9), gli elevati livelli di trigliceridi (odds ratio: 1.7; 95% CI 1.3-2.2), e i bassi livelli di HDL (odds ratio: 1.5; 95% CI 1.2-2.0).


Gli alti livelli di lipidi si controllano meglio con la rosuvastatina (Aslangul E., LBPS7.2) – Dallo studio di ricercatori francesi, prospettico, randomizzato, in aperto su 88 pazienti adulti (20% donne, tempo mediano di infezione: 9 anni) emerge che la rosuvastatina controlla meglio i livelli di colesterolo LDL (quello “cattivo”) e dei trigliceridi rispetto alla pravastatina in soggetti adulti in cui l’LDL era superiore ai 4.1 mmol/L ed i trigliceridi erano inferiori a 8.8 mmol/L. Essi assumevano una terapia contenente un inibitore della proteasi potenziato da ritonavir da almeno 2 mesi ed avevano infezione controllata: nessuno di essi aveva scompenso epatico o renale oppure una infezione opportunistica in corso. 44 pz. (CD4 medi: 463) hanno assunto 40 mg di pravastatina al dì e 44 pz. (CD4 medi: 521) 10 mg di rosuvastatina al dì. Dopo 45 giorni, la diminuzione dei lipidi è stata doppia nel gruppo che assumeva rosuvastatina (diminuzione di LDL: 37% versus 19%), portando ben l’88% dei pazienti che assumevano rosuvastatina a livelli di LDL al di sotto dei 4.1 mmol/L, mentre lo stesso obiettivo si è raggiunto solo nel 60% dei pazienti che assumevano pravastatina. Tuttavia, alcuni farmacologi hanno messo in discussione questi risultati, sostenendo che gli inibitori della proteasi potenziati con ritonavir abbassano le concentrazioni di pravastatina ed alzano quelli della rosuvastatina.