Da Europa e Stati Uniti «aiuti» contro l’AIDS

La lotta contro il virus dell’HIV ha ritrovato slancio al vertice di Evian: il membri del G8 hanno stipulato un accordo con alcuni Paesi africani per intensificare gli sforzi comuni e per lo sviluppo del continente.L’Unione Europea contribuirà con un miliardo di dollari l’anno al Fondo mondiale di lotta contro l’AIDS. Lo ha annunciato nel corso di una conferenza stampa il presidente sudafricano Thabo Mbeki al termine di una riunione tra i membri del G8 e i Paesi del Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa (NEPAD) presenti a Evian: Sudafrica, Algeria, Nigeria e Senegal. Gli Stati Uniti hanno promesso di dare al NEPAD un miliardo di dollari l’anno. Mbeki ha affermato di avere chiesto agli altri Paesi del G8 una simile disponibilità e l’UE si è impegnata a fornire altrettanto. Gli «Otto Grandi» corrono al capezzale dell’Africa che muore di AIDS e di fame, che manca di acqua e di farmaci, che non trova investimenti, che è schiacciata dai debiti.

Al rilancio della lotta all’AIDS ha contribuito anche il presidente americano George W. Bush, nonostante la sua visita lampo. Nell’incontro di domenica fra i leader dei Grandi e quelli di Paesi in via di sviluppo, Bush aveva particolarmente sollecitato una maggiore cooperazione nella lotta contro il virus dell’HIV e le carestie e per liberalizzazione degli scambi come strumento di sviluppo.

Su tutti i temi del Terzo Mondo, il presidente americano ha fatto valere le cifre in valore assoluto dell’impegno finanziario statunitense, «fino a 7 volte superiore a quello di qualsiasi altro donatore». Da parte sua ieri il presidente francese Jacques Chirac ha annunciato in serata che la Francia triplicherà il suo contributo al fondo mondiale della lotta contro l’AIDS, portandolo a 150 milioni di euro all’anno. Chirac aveva anche auspicato che i paesi dell’Unione europea elevino il loro contributo complessivo al fondo anti-AIDS a un miliardo di euro all’anno, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, una decisione che aveva definito «storica».

Dal canto loro i rappresentanti delle organizzazioni ostili alla globalizzazione – perlomeno nei termini in cui è gestita dagli «Otto Grandi» – che hanno dato vita al controvertice svoltosi nel triangolo Ginevra, Losanna, Annemasse, hanno consegnato nel pomeriggio all’entourage del presidente francese le loro proposte «alternative». E’ quanto annunciato ieri nel corso di una conferenza stampa a Evian.
Queste proposte – uscite dal cosidetto «Vertice per un altro mondo» – sono centrate sull’annullamento immediato del debito dei Paesi poveri, sulla istituzione di una tassa sulle transazioni, sulla creazione di una Organizzazione mondiale dell’ambiente e sul controllo del commercio di armamenti. I rappresentanti di otto organizzazioni – tra cui gli Amici della terra, Greenpeace e Attac – e di tre Paesi africani (Sudafrica, Costa d’Avorio e Burkina Faso) hanno avuto un colloquio di due ore con Frederic Lemoine, uno dei consiglieri diplomatici di Chirac.

Non che i vertici di per sé decidano qualcosa. Si tratta di eventi mediatici, di teatrini all’aperto – ché le riunioni al chiuso sono sempre segrete, salvo qualche velina offerta al retroscena giornalistico di turno – in cui viene riaffermata, simbolicamente, la gerarchia di comando del mondo. Ed è proprio la simbologia di Evian che smentisce questa pretesa. Il vertice è cominciato con una sfilata di paesi “altri”, i quali hanno subito messo a fuoco altri temi e altre priorità: la fame nel mondo, il costo del debito, l’Aids o la la pace da costruire in Iraq. E’ poi continuato con la contesa mediatica tra Bush e Chirac e celebrata in un faccia a faccia a uso delle tv, tanto fotografato quanto inutile, che non ha modificato la sostanza dei rapporti tra i due paesi. Ed è terminato, di fatto, con la veloce dipartita di Bush al quale tutti hanno fatto gli auguri per la missione in Medioriente, in realtà invidiandone il protagonismo indiscusso.

In mezzo c’è l’impasse sugli accordi Wto o l’antiliberista raccomandazione di allargare i deficit per fare fronte alla recessione. Nessun trionfalismo può quindi essere esibito. La stessa partecipazione dei dodici paesi del Sud è la presa d’atto che la formula G8 non serve più a niente – come si fa a escludere India e Cina che rappresentano metà della popolazione mondiale? – e che l’agenda centralizzata dai paesi occidentali è inadeguata.

Il colpo ferale è ovviamente quello inferto dagli Usa. La vittoria della guerra in Iraq sancisce sul terreno la loro supremazia politica e svuota di fatto le varie istanze concertative su scala internazionale. Con questa asimmetria la politica mondiale è costretta ormai a fare i conti. Stati Uniti e gran parte dei paesi occidentali non hanno al momento un filo comune, non tessono la stessa tela. La crisi economica internazionale, la riduzione dei margini di profitto, la crisi di legittimità in cui versano le strutture della globalizzazione, spostano il pendolo dei rapporti di forza sulle posizioni unilateraliste e “nazionaliste”. Bush è estremanente determinato su questa strada e chi si aspettava un riaggiustamento a Evian, è stato deluso. Questo ripiegamento sugli “interessi nazionali”, o comunque macroregionali, ha già degli effetti sui negoziati in vista del vertice Wto di Cancùn dove, al momento, potrebbe riprodursi lo stallo di Seattle.

Si apre dunque una situazione internazionale più favorevole al movimento antiglobalizzazione e alle forze di sinistra. Le contraddizioni che continuano ad esistere tra le grandi potenze – pur non consentendo in alcun modo la costruzione di un indistinto fronte antiamericano – favoriscono l’iniziativa politica di una proposta alternativa. A condizione che questa emerga con più chiarezza di quanto avvenuto finora.

Il movimento, come dicevamo, è l’altro soggetto che esce in piedi da questo ennesimo passaggio. Ha dimostrato forza, capacità di iniziativa e di aggregazione, maturità – il fenomeno black bloc rimane isolato, anche se va seguito con attenzione – capacità di proposta. Rimane, però, la sensazione di un limite, di una difficoltà a passare a una maggiore profondità, a una capacità di intervento che continui tra un vertice e l’altro, tra un evento e un altro. La sfida sta tutta qui dentro. Il limite del movimento non risiede nella sua «burocratizzazione» o nei «bla bla bla delle assemblee», come dice Casarini, quanto nell’incapacità di organizzare campagne di massa, che durino nel tempo, che aggreghino stabilmente la grande partecipazione che si registra negli eventi, e che ottengano vittorie, risultati anche parziali, ma visibili. E’ un limite che attraversa molte delle forme organizzate, si pensi ai sindacati, e che spesso viene rimosso caricando di significato politico lotte e vertenze che invece dovrebbero avere uno sviluppo più ampio e aggregante. La presenza della questione sociale francese al corteo di Annemasse, quindi la questione sociale in Europa, costituisce un elemento di ottimismo. Ma il lavoro è ancora tutto da fare.