Brevetto e Castigo

‘Experimental Use Defense’ significa ‘protezione dell’uso sperimentale’. E’ un principio che autorizza l’uso gratuito di tecnologie brevettate nell’ambito della ricerca, introdotto nel 1813.‘Experimental Use Defense’ significa ‘protezione dell’uso sperimentale’. E’ un principio che autorizza l’uso gratuito di tecnologie brevettate nell’ambito della ricerca, introdotto nel 1813. E’ necessario perche’ il brevetto, che sottopone a dazio che voglia utilizzare una tecnologia brevettata, ostacola il dibattito scientifico, fatto di riproduzione, verifica e correzione di scoperte altrui. Il principio dell’Experimental Use Defense protegge da due secoli la ricerca universitaria americana. Nei laboratori pubblici U.S., il brevetto non viene applicato. O meglio, non veniva applicato: dal 3 ottobre 2002, in cui e’ stata pronunciata la sentenza Madey vs. Duke University, le cose stanno in modo diverso (vedi nei Last Minute). L’Universita’ di Duke stava usando un’apparecchiatura brevettata da John Madey (ex dipendente di Duke) per ricerche laser su elettroni liberi. Madey ha denunciato l’universita’, e la Corte d’Appello Federale gli ha finalmente dato ragione: la ricerca non e’ piu’ esentata dalle leggi sui brevetti, nonostante cio’ contraddica decine di sentenze precedenti. La Corte ha ritenuto che l’Experimental Use Defense fosse stato concepito per proteggere lo scienziato dedito alla ricerca disinteressata e libera. L’attivita’ universitaria e’ piu’ cosi’ innocente e, quand’anche non sia direttamente commerciale, puo’ essere considerata un ‘legitimate business’, procura finanziamenti e necessita di forza lavoro e di personale in formazione (studenti). La questione e’ importante per due motivi. In primo luogo, il brevetto entra nella ricerca pubblica dalla porta principale, e se i brevetti dovessero essere rispettati, poche ricerche avrebbero libero corso. In secondo luogo, la ricerca pubblica e quella privata sono considerate ‘legitimate business’ alla stessa stregua. E cio’ dovrebbe far cadere le ultime ambiguita’ sulla funzione della ricerca pubblica nelle societa’ avanzate. Spesso, l’ambiente statale e’ la foglia di fico che permette di introdurre nei laboratori pubblici meccanismi privatistici (brevetti e precarieta’, soprattutto) che nel privato non sarebbero tollerati. Ma come si fa a fare ricerca usando tecnologie gia’ brevettate? Chi lavora in un laboratorio sa che l’uso illecito di strumenti brevettati, softwaresotto copyright e fotocopie non autorizzate e’ comunissimo, ma non puo’ dirlo apertamente. Science invece ha intervistato 70 avvocati, scienziati e imprenditori biotech per saperne di piu’ (vedi Last Minute). E la verita’ e’ venuta a galla: nella pratica quotidiana, una buona dose di piratera e’ necessaria (per gli scienziati). E soprattutto e’ accettata dagli imprenditori.
Essi sanno che la ricerca, anche se pirata, puo’ aumentare il valore di un brevetto, se scoprono nuove applicazioni commerciali basate sullo stesso brevetto, dato che il consumatore, lui, non scappa dal dazio. Inoltre, l’opinione pubblica ormai e’ tanto schierata contro il brevetto che lo scarso guadagno da una causa vinta contro un ricercatore non varrebbe la reputazione perduta. E questo e’ un importantissimo risultato indiretto delle lotte diffuse contro brevetti e copyright. La questione della libera circolazione del sapere sta mettendo in difficolta’ le aziende, che si rendono conto che controllare troppo la diffusione delle conoscenze fa guadagnare qualcosa subito ma in prospettiva e’ un suicidio, nell’attuale contesto socio-economico. E molte, infatti, sponsorizzano apertamente tecnologie open-source e in qualche caso vanno piu’ in la’ degli enti di ricerca pubblici. Che pubblici sono sempre di meno. Un esempio di cio’viene dai dati sulla pubblicazione dei dati (sequenze geniche, protocolli di ricerca, algoritmi) sulle riviste pubbliche e su quelle private. Ebbene, le riviste mantenute da enti privati diffondono pubblicamente il 58% dei dati, dei protocolli e dei programmi contenuti nei loro articoli, mentre sulle riviste scientifiche pubbliche tale percentuale scende al 39% (vedi nei Last Minute). Segno che nell’ambiente imprenditoriale piu’ innovativo (non certo presso la Moratti, sia chiaro) l’importanza e la produttivita’ di un sapere libero e’ maggiormente apprezzata che nelle conservatrici istituzioni statali. E poi uno si lamenta se le vogliono chiudere…