Thailandia: «war on drugs» di successo?

Per il primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra, potrebbe essere il momento del trionfo. La sua war on drugs ha funzionato: secondo i dati di un’indagine “indipendente”, il consumo di droghe, in Thailandia, e’ calato del 67,3%, quello di metanfetamine (che era il consumo piu’ diffuso in Thailandia), addirittura del 90%. Le sue “rigide misure antidroga”, dunque, hanno funzionato? “Non possiamo averne la certezza, ma presumiamo che il crollo delle droghe sia conseguenza delle recenti misure del Governo nei confronti dei consumatori”, ha spiegato Noppodol Karnikar del centro di rilevazioni Abac Poll dell’Assumption University. Sicuramente, le notizie che arrivavano, nel periodo “caldo” dai quartieri-dormitorio di Bangkok, parlavano di bunisess as ususal. Per fare un riassunto, lo scorso primo febbraio, il primo ministro ha lanciato la madre di tutte le battaglie antidroga, con misure ancora piu’ pesanti, in un Paese che vede, nella sua legislazione, la pena capitale per il possesso di dosi non elevatissime di eroina. Dopo un paio di mesi durante i quali la polizia e’ accusata di 2275 omicidi extragiudiziali da parte delle Ong, la “battaglia”, si e’ fermata lo scorso primo maggio, come previsto, senza che “ogni centimetro di Thailandia” fosse drug-free, visti anche i richiami da parte di diverse organizzazioni per i diritti umani ed alcuni, isolati appelli da parte di vari rappresentanti parlamentari e di alcune autorita’ governative, come quella statunitense. La polizia si addossa la colpa di una cinquantina al massimo di questi omicidi, gli altri sono stati prima addebitati ad una guerra tra bande che sarebbe scoppiata, per coincidenza, proprio in quel momento, e poi, con la spiegazione, un po’ piu’ seria, del tentativo di eliminazione di tutti gli informatori da parte dei narcotrafficanti. Intanto, dopo la visita della rappresentante straordinaria del segretario generale delle Nazioni Unite sui diritti umani, Hina Jilani, che ha riportato di “condizioni non favorevoli” del rispetto dei diritti civili in Thailandia, Saneh Chamarik, a capo della commissione nazionale sui diritti umani ha detto che il primo ministro “prende troppo personalmente le critiche in materia, e non e’ molto portato a tollerarle”. Il rappresentante Onu avrebbe parlato di “clima di terrore” per chi critica il Governo, azioni di violenza contro i manifestanti, indagini segrete sui giornalisti “non allineati”, e tentativi, in sede internazionale, dello stesso Governo, affinche’ vengano tagliati i fondi di molte Ong. A queste critiche fatte dalla signora Jilani, un’avvocatessa pakistana, il primo ministro ha risposto che la rappresentante Onu “dovrebbe prima guardare cosa succede nel suo Paese prima di criticare gli altri”. Ma la Asian Human Rights Commission (Ahrc), riporta dati ancora piu’ inquietanti: riportando del caso di sei immigrati birmani uccisi, per i quali si addossano alcune responsabilita’ alla polizia, l’Ong in questione parla di un “mostro da fermare” riferendosi alla “licenza di uccidere” che il primo ministro avrebbe concesso alle forze dell’ordine, in cambio, probabilmente, dei numeri di cui sopra (“ridotto del 90% il consumo di droghe”). Il fatto, poi, che la “guerra” alle droghe, sia diventata una “guerra alle minoranze”, era stato riportato anche dalla signora Jilani, e la Ahrc riporta il fatto che gli immigrati, da sempre considerati “un gradino sotto”, stiano assumendo la forma di “sotto-umani”, per quanto riguarda i “diritti civili”, dopo che Thaksin ha lanciato una seconda crociata, stavolta contro il traffico di clandestini. La Ahrc, conclude parlando di uno “slittamento verso la barbarie molto pericoloso”, da parte delle forze dell’ordine di uno Stato che e’, almeno nominalmente, democratico, dove le polizie stanno compiendo qualsiasi abuso, nel nome delle “guerre sante” di Thaksin, in cambio dell’impunita’.