Le linee guida per la terapia nel paziente HIV+: dogmi o indicazioni ?

Simone Marcotullio, per conto di Delta, intervista il Prof. Mauro Moroni sul come interpretare le linee guida per il trattamento dell’HIV/AIDS. Siamo veramente onorati di ospitare sulla nostra rivista le impressioni di un medico, che oltre ad avere assistito a tutte le fasi storiche di questa patologia, è sempre stato un punto di riferimento per tutti noi pazienti, non solamente per la competenza che certamente non gli deve essere riconosciuta da noi, ma soprattutto per l’amore con cui dedica il Suo lavoro a tutte le persone coinvolte da questa terribile infezione.

Oggi come oggi ci troviamo di fronte a qualche cosa di straordinario, che solamente una decina di anni fa era impossibile pensare: l’armamentario terapeutico per il trattamento farmacologico del paziente HIV-positivo è ricco di oltre 15 molecole attive contro la replicazione virale. La messa a punto di regimi di combinazione in grado di garantire un sequenziamento intelligente per evitare l’insorgere di resistenze è la vera sfida che vede in campo medici e pazienti per i prossimi anni. Non trascurabile anche i nuovi farmaci all’orizzonte, di vecchie classi e di nuove classi. Tuttavia abbiamo imparato come l’associazione schematica “al buio” non sia la strada maestra: le interazioni farmacologiche tra molecole, le tossicità che gravano a vari livelli, costringono il medico curante ad essere sempre aggiornato e a tentare di costruire un percorso terapeutico “intelligente”, in grado di garantire per il paziente HIV-positivo non soltanto un benessere clinico, ma anche una qualità della vita alta.

L’obiettivo delle linee guida per il trattamento delle persone HIV-positive è proprio questo: tentare di fornire indicazioni generali sui tipi di percorsi terapeutici a seconda delle necessità cliniche della persona in cura.

Delta. Qual è il significato delle linee guida per la terapia antiretrovirale?

Prof. Moroni. Il significato è andato progressivamente modificandosi in funzione dell’approfondimento delle conoscenze, ma soprattutto della crescente disponibilità di esami di laboratorio specifici e dei farmaci antiretrovirali. Le prime linee guida erano contenibili in poche pagine. Gli argomenti trattati si limitavano a indicazioni sull’utilizzo dei marcatori viro-immunologici e sul quando prescrivere i pochissimi farmaci a disposizione. Queste prime linee guida sono tuttavia state importanti in quanto hanno testimoniato l’avvallo della Comunità Scientifica Internazionale ai tests predittivi ed alla terapia antiretrovirale.
Tutto ciò appare oggi scontato, ma così non era nella seconda metà degli anni ottanta, ove accanto alle speranze ed alle prime conferme, erano di moda atteggiamenti di scetticismo, purtroppo non del tutto estinti. Le prime linee guida erano semplici perché le opzioni erano limitatissime. Le ultime linee guida occupano più di 80 pagine a stampa ed appaiono come veri e propri testi per una corretta gestione clinica delle persone HIV+. Sono quindi fondamentalmente uno strumento di aggiornamento culturale che aiuta ma non sostituisce il Medico nelle sue scelte. Infine mantengono il ruolo di “pezze giustificative” nelle continue e talora estenuanti contrattazioni con le Amministrazioni Ospedaliere nella definizione dei budget.

Delta. Quali sono le principali linee guida nel mondo in quei paesi in cui si ha pieno accesso alle terapie e come mai nel mondo esistono così tante linee guida per il trattamento della persona HIV +, seppur il problema sia assolutamente “globale”?

Prof. Moroni. Ogni paese tende ad elaborare proprie linee guida. Questa proliferazione può sembrare eccessiva e più dettata da narcisismo nazionalistico che da vere e proprie esigenze. In realtà non è così. L’infezione da HIV non pone gli stessi problemi ovunque. I Sistemi Sanitari, da cui derivano la disponibilità e la gratuità dei farmaci, varia da Paese a Paese. In Italia, ad esempio, assumono una particolare dimensione problemi meno rilevanti in altri Paesi: la gestione delle coinfezioni con i virus epatici; HIV e immigrazione; HIV e tubercolosi; HIV e procreazione; HIV ed eterosessuali; anziani, “AIDS-presenting”….
Sono questi capitoli appena accennati nelle Linee Guida americane e che invece vengono ampiamente approfonditi in quelle nazionali. Le Linee Guida americane godono comunque di un persistente prestigio e per tutti gli estensori continuano a rappresentare il punto di riferimento preferito.

Delta. Visto l’eterogeneità delle indicazioni, quale tra queste, a Suo giudizio, dovrebbe essere sempre il “vademecum” del medico?

Prof. Moroni. Non ho dubbi a rispondere a questa domanda: la capacità critica del singolo Medico, frutto di un continuo e faticoso aggiornamento, dell’esperienza personale maturata sul campo, della capacità di adattare le indicazioni delle Linee Guida al singolo paziente, della attitudine a stabilire una “alleanza” forte e leale tra il Medico e chi si affida al Medico.
Le Linee Guida sono sempre meno “prescrittive”; a indicazioni precise si va sostituendo un numero sempre più ampio di opzioni.
La gerarchia tra le opzioni dovrebbe essere dettata dalle evidenze sperimentali. Tali evidenze non sono sempre univoche e vanno interpretate. Molti lavori clinici sono stati promossi dall’Industria, sulla scorta di obiettivi prestabiliti. Al Medico si chiede oggi non solo di leggere e studiare le Linee Guida, ma anche di affrontarle con spirito critico e la mente sgombra da pregiudizi.

Delta. Ritiene che i paesi che hanno accesso a tutte le opzioni terapeutiche riusciranno un giorno a omogeneizzare le indicazioni sugli standard di terapia?

Prof. Moroni. Già oggi, le Linee Guida più qualificate coincidono per l’80-90% nelle indicazioni più significative. Le differenze inoltre, salvo rare eccezioni, riguardano temi relativamente marginali.
Peraltro, le Linee Guida si fondono in parte sulle opinioni degli “Opinion Leaders”, ma soprattutto sui dati sperimentali pubblicati. Le pubblicazioni scientifiche rappresentano un patrimonio universale, a disposizione di tutti i Pannels di Esperti. Le fonti utilizzate per la compilazione delle Linee Guida sono pertanto le stesse per i diversi Paesi.

Delta. Qual è la “proiezione clinica” della linea guida, ossia l’applicabilità reale, considerando che tutti ammettono che una terapia per un paziente HIV+ deve essere personalizzata?

Prof. Moroni. Ritengo che, attualmente, le Linee Guida scontino un limite non facilmente superabile. Le indicazioni fornite dalle Linee Guida scaturiscono dalle “evidenze” documentate da studi sperimentali. Tali evidenze sono tanto più forti quanto più gli studi sono complessi, fondati su casistiche ampie e seguite per tempi lunghi. Tra l’elaborazione a tavolino dello studio e la sua conclusione, passano anni. Le Linee Guida pertanto, si fondono sui risultati di studi concepiti sulla scorta di conoscenze che, al momento della conclusione degli studi, si sono andate modificando. Oggi, ad esempio, disponiamo di farmaci autenticamente innovativi. Questi farmaci, sulla scorta degli studi registrativi, vengono forzatamente proposti per indicazioni limitate a situazioni di salvataggio in soggetti già andati incontro a multipli fallimenti. Le peculiarità di alcuni di questi farmaci, il meccanismo d’azione, lo spettro di mutazioni correlate alle resistenze, il profilo farmacologico, autorizzano ad ipotizzare un utile impiego anche in altre situazioni.
Le Linee Guida più coraggiose, hanno iniziato a prendere in considerazione anche queste possibili indicazioni prive di riscontri sperimentali. A mio avviso, è questo un aspetto positivo, da coltivarsi, ovviamente con la dovuta prudenza e discrezione.

Delta. Ora le chiediamo di svelarci un piccolo segreto: nel momento in cui Lei deve prescrivere un regime terapeutico ad un paziente che non ha mai assunto terapia, quali criteri applica?

Prof. Moroni. Credo che la formulazione della terapia d’esordio in un soggetto “naive” rappresenti una delle tappe più delicate e più in grado di condizionare tutta la successiva storia farmacologia del paziente. Ritengo pure che di ciò non si sia del tutto consapevoli e che troppo frequentemente non si ponga abbastanza attenzione al problema.
Apparentemente, molte combinazioni sopprimono in ugual misura la replicazione virale e quindi, in tempi brevi, possono apparire equivalenti. Le differenze possono infatti emergere in tempi lunghi, sotto l’aspetto della differente durata dell’efficacia.
Oggi si tende ad avviare la terapia antiretrovirale solo quando la carica virale è particolarmente elevata, superiore alle 100.000 c/ml. In queste situazioni, la probabilità di selezionare mutanti resistenti da parte della pressione selettiva dei farmaci è più elevata ed i tempi necessari ad ottenere la soppressione della replicazione virale sono più lunghi. L’entità della carica virale è, a mio parere, un parametro primario nella scelta della terapia d’esordio. Questo non è un segreto in quanto più volte mi sono espresso in tal senso. In soggetti con carica virale elevata prescrivo un inibitore delle proteasi, farmaco ad elevata “barriera genetica”, il più adatto, a mio parere, a compiere in tempi brevi il “lavoro sporco” della soppressione della replicazione virale con limitato rischio di selezionare resistenze. Non appena ottenuto il risultato voluto, sulla scorta di un mosaico di altre variabili, si potrà valutare se e come modificare la terapia a favore di un NNRTI.
I “farmaci di accompagnamento” sono destinati a rimanere invariati a lungo. Negli ultimi anni, si sono accumulate nuove conoscenze nell’ambito della tossicità cronica. Queste conoscenze, accanto alla disponibilità di co-formulazioni che ne facilitano l’assunzione, limitano oggi le scelte a poche opzioni.
Sarei infine molto tentato in via sperimentale ed in situazioni molto particolari, quali l’infezione acuta con cariche virali particolarmente elevate o nell’ ”AIDS-presenting” pure con cariche virali elevate, ad associare ai farmaci che inibiscono la replicazione, farmaci che proteggono le cellule non ancora infette come gli inibitori dell’ingresso o della fusione.

Delta. Per concludere, Lei pensa che nel prossimo futuro (5 anni) il pensiero di oggi possa subire dei cambiamenti forti, in termini di indicazioni?

Prof. Moroni. Dipenderà da noi, dalla nostra capacità di sperimentare nuove vie e dimostrare la validità di nuove opzioni.
Se le promesse saranno mantenute, il panorama dei farmaci disponibili si amplierà sensibilmente nei prossimi anni. Ciò è un evento assolutamente auspicabile, ma porrà il problema di come studiare e poi utilizzare al meglio questi farmaci.
Per la sperimentazione clinica, si apriranno spazi di ricerca del tutto inaspettati, che sarà comunque difficile colmare in tempi brevi. Sarà indispensabile coordinare le ricerche e gli studi su dimensioni mondiali per ottenere più rapidamente risultati significativi. Occorrerà trovare fondi anche svincolati dall’Industria Farmaceutica per poter avviare e concludere studi spontanei e “non-profit”. In Italia esistono le competenze e le caratteristiche per poter contribuire agli studi anche più innovativi e complessi. Esiste anche la piena consapevolezza da parte delle persone sieropositive dell’insostituibile ruolo della ricerca clinica sperimentale.
E’ invece carente, da una decina d’anni ad oggi, la capacità da parte dei Clinici e dei Ricercatori italiani, di operare non singolarmente o in aggregazioni estemporanee, ma come “sistema Paese”. Ciò ci penalizza nei confronti di quanto si è realizzato in altre nazioni, limitando, salvo rare ma significative eccezioni, le attuali validissime potenzialità nazionali.