«Big Pharma», storie di ordinaria corruzione

Grazie a un’ondata di fusioni senza precedenti, dieci gruppi farmaceutici si dividono il 50% del mercato farmaceutico mondiale. Portano sollievo al mondo e finanziano la ricerca. Questo è il volto, levigato e sorridente, che le «Big Pharma» mostrano al mondo. Ma qualche ruga comincia ad apparire. Nel Sud, si muore per mancanza di medicinali, spesso troppo cari; nel Nord, si soffre per un eccesso di consumi e per effetti secondari a lungo ignorati. Tuttavia, le case farmaceutiche non sembrano temere alcun contro-potere. Se è in gioco il marcio della politica, la stampa adora mettere in prima pagina fatti di tangenti. Silenzio assoluto dei media invece, quando Glaxo SmithKline (Gsk) viene sottoposta, in Italia, a una gigantesca inchiesta di polizia che coinvolge ben 2.900 medici. A eccezione del British Medical Journal (Bmj) e del Guardian di Londra (13 febbraio 2003), su questo grande scandalo si è scritto poco o niente. Eppure, ben 37 impiegati di Gsk Italia e 35 medici sono stati accusati di «corruzione»; 80 informatori scientifici denunciati per versamenti illegali a favore di medici disposti a prescrivere prodotti della casa piuttosto che gli equivalenti generici. Nel corso dell’inchiesta, la polizia ha scoperto un complesso sistema informatico, denominato Giove (Jupiter), che permetteva ai rappresentanti commerciali della ditta di controllare, attraverso le ricette presentate in farmacia, le prescrizioni dei medici che erano stati pagati. Inoltre, secondo Bmj, 13.000 ore di registrazioni telefoniche dimostrerebbero molto chiaramente quanto stretta fosse la relazione tra il numero delle prescrizioni e la consistenza dei regali ottenuti dai medici: visite «mediche» al Gran premio di Montecarlo o ai Caraibi, versamenti in contanti fino a 1.500 euro, ecc. L’Italia è un caso isolato? Scandali simili sono emersi negli Stati uniti e in Germania… Nell’aprile 1993, la dottoressa Nancy Olivieri, dell’Ospedale pediatrico di Toronto, firma con la società Apotex Research Inc. un protocollo di ricerca su una nuova molecola, il deferiprone, che potrebbe aiutare i pazienti colpiti da talassemia (malattia del sangue ereditaria) a evitare i problemi cardiaci legati al sovraccarico di ferro. A quel tempo la dottoressa Olivieri era ben lontana dal sospettare che il suo «caso», otto anni dopo, sarebbe stato oggetto di un rapporto d’inchiesta di oltre 500 pagine. Due anni dopo l’inizio della sperimentazione terapeutica e la pubblicazione dei primi, incoraggianti risultati, le nasce il sospetto che il medicinale aggravi la fibrosi epatica di alcuni suoi malati. Decide allora di far firmare ai pazienti una nuova lettera di consenso, affinché siano informati dei rischi potenziali legati a effetti secondari, e sottopone la lettera ai suoi superiori.
Immediatamente, la casa farmaceutica annulla il contratto (senza interrompere le ricerche in corso in altri ospedali) e minaccia di trascinarla in tribunale se dovesse infrangere la clausola di riservatezza che ha imprudentemente firmato. Ignorando le pressioni, in nome del proprio dovere verso i pazienti, il medico presenta i risultati del suo lavoro nel corso di un convegno. In sei anni di noie giudiziarie e professionali, sarà sostenuta soltanto dall’Association canadienne des professeur(e)s d’université (Acppu). Vero è che il direttore di Apotex, uno dei «filantropi» più influenti di Toronto, aveva proposto una donazione di 20 milioni di dollari all’università della città per la costruzione di un nuovo edificio…. Grazie alla sua tenacia, tuttavia, la dottoressa Olivieri alla fine ha vinto la causa. Reintegrata in servizio, e con una compensazione per gli anni di ricerca perduti, ha anche ottenuto l’annullamento da parte della Commissione europea dell’autorizzazione alla vendita del deferiprone, in nome del fatto che nessuno studio scientifico ha finora eliminato i timori da lei segnalati. Per un violento attacco di otite, un medico ha prescritto a Roselyne un antibiotico di terza generazione. Due giorni dopo, la donna si trascina a fatica per casa, la pressione è molto bassa. Consulta allora un altro medico che le dice di aver «già avuto problemi con questo antibiotico» e le consiglia di sospendere il trattamento. Nel giro di due giorni Roselyne recupera le forze. L’incidente non è grave e niente prova che sia legato al medicinale. Tanto meglio! Perché comunque il medico di base non avrebbe a disposizione alcun mezzo per segnalarlo. Infatti, anche se la Previdenza sociale con l’introduzione della carta Sesame-Vitale gli impone per ogni prestazione di connettersi a Internet, nessun sito recensisce questo tipo di osservazioni, le quali invece, se messe insieme, permetterebbero agli epidemiologi di scoprire rischi non individuati prima dell’approvazione del farmaco. Gli appelli del collettivo Europe et medicament, per un maggior coinvolgimento del paziente nella farmaco-vigilanza, per ora non sono stati recepiti dalla Commissione europea. L’associazione per la lotta contro l’aids, Act up-Paris, da tempo lamenta la mancanza di un finanziamento per perfezionare, ad esempio, le posologie dei farmaci trivalenti per le donne (le sperimentazioni hanno coinvolto schiere di pazienti, ma erano in maggioranza uomini). Una volta ottenuta l’autorizzazione all’immissione sul mercato (Amm), la legge non prevede né una successiva valutazione del prodotto, né il controllo di un certo numero di persone sotto trattamento. Senza una legislazione vincolante, le valutazioni post – Amm, dette «di fase IV», sono dunque affidate alla buona volontà delle case farmaceutiche. Sempre carenti di fondi pubblici, alcuni medici e ricercatori si arruolano così in quelle che a volte vengono definite «valutazioni di marketing». «A noi la pubblicità non dà certo fastidio! – racconta ridendo un redattore della rivista L’Infirmière – Contrariamente a quasi tutte le pubblicazioni professionali del settore medico, non interessiamo affatto le case farmaceutiche. I nostri lettori non richiedono né prescrivono medicinali. Se non altro, questo ci lascia assolutamente liberi di scrivere su argomenti che ci interessano: la relazione con il paziente, lo stato degli ospedali nel terzo mondo, le difficoltà della professione…» Al contrario, a parte alcune pubblicazioni come Pratiques (un trimestrale) o Prescrire (che offre una valutazione critica dei medicinali immessi sul mercato), i giornali destinati ai medici, molto spesso unico strumento d’informazione (e di formazione!) nel corso della loro carriera, sono saturi di annunci pubblicitari. Tra «ricerca» e «vita», la salute Suzanne, giornalista, aveva lasciato Parigi per il sud dell’Inghilterra, dove sperava di vivere del suo lavoro – il che però si rivela più difficile del previsto. Ma ecco che riceve, per posta, una proposta allettante: «Saremmo lieti che partecipasse al convegno medico che si terrà a Londra il 22 gennaio e che pubblicasse un articolo sulla stampa francese. Il nostro obiettivo è informare il pubblico su una malattia importante, ma relativamente sconosciuta e sui nuovi progressi terapeutici individuati». Segue una descrizione dettagliata della «malattia» e degli eccellenti risultati ottenuti con il nuovo farmaco. «Consapevoli che non potrà garantire la pubblicazione di questo articolo, Le verseremo la somma di 500 sterline per partecipare al convegno, scrivere l’articolo e proporlo, per esempio, a l’Agence France Presse, a Le Monde o al Quotidien du Médecin». Molto interessata, Suzanne chiede alcune precisazioni. «Le garantisco che è una pratica corrente: saranno presenti anche dieci giornalisti britannici e quattro scandinavi».
Alla lettera è allegato l’articolo di un collega, a titolo d’esempio… o di modello. «Certo, se Lei riuscirà a fare pubblicare l’articolo, mi sarà più facile invitarla di nuovo in seguito». Medico di base e romanziere, Martin Winckler nella sua cronaca radiofonica su France Inter, dà il suo parere su tutto. Ma, il 15 maggio 2003, osa proporre l’ultimo libro di Philippe Pignarre, ex dirigente dell’industria farmaceutica, che analizza la «crisi» a suo giudizio attraversata dalle case farmaceutiche: diminuendo le possibilità di individuare importanti novità terapeutiche, è a rischio, in prospettiva, la redditività finanziaria – finora eccezionale – del settore. Questa valutazione, proposta da un canale del servizio pubblico, non va d’accordo con la pubblicità redazionale del sindacato padronale delle industrie dei medicinali (Leem), per le quali «la ricerca avanza, la vita migliora» (una campagna fatta su France Info e Radio Classique, oltre che sui tre canali di France Télévision). Il 4 luglio, la cronaca è sostituita, senza spiegazioni, da un intervallo musicale. L’11, il Leem usa il suo «diritto di risposta» per attaccare le «accuse senza fondamento» di Winckler. Da quel momento, di fronte alle insistenti domande poste dagli ascoltatori, le spiegazioni dei responsabili diventano sempre più imbarazzate. Tra lo stupore generale, è Randall Tobias, l’ex presidente di Ely Lilly – fortunato produttore del Viagra – , l’uomo scelto da George Bush per gestire il fondo americano per la lotta contro l’aids (15 miliardi di dollari in cinque anni). «I suoi rapporti con l’industria farmaceutica hanno suscitato forti perplessità: Tobias s’impegnerà a garantire l’accesso a medicinali generici a basso costo – si chiede, nel suo editoriale del 12 luglio 2003, The Lancet, uno dei più importanti giornali di ricerca medica – o comprerà versioni sotto brevetto, proteggendo così gli interessi delle industrie americane?». Il formidabile braccio di ferro commerciale sui brevetti farmaceutici, che oppone da molti anni alcuni paesi del Sud alla triade Stati uniti-Unione europea-Giappone (l’88% del consumo totale di medicinali nel mondo), è finito, alla vigilia della riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio a Cancun, con la vittoria delle «Big Pharma», guidate dalla ditta americana Pfizer; la marea di limitazioni che verrà imposta al commercio dei generici garantisce loro uno stretto controllo su questo mercato. A Washington, il voto del 23 luglio 2003 alla Camera dei rappresentanti era scontato: il progetto di legge che autorizza l’importazione di medicinali che all’estero costano meno che negli Stati uniti superava la tradizionale contrapposizione politica. Ottantasette repubblicani si sono aggiunti ai 155 democratici per approvare una legge che costituisce una sfida alle case farmaceutiche – medicinali di largo consumo, come l’Augmentin, possono costare, negli Stati uniti, tre volte il loro prezzo in Europa. Editore di CapitalEye.org (un foglio specializzato nell’analisi dei contributi elettorali), Steven Weiss non ha difficoltà a ricostruire la mappa dei settori politici: tra il 1989 e il 2002, i parlamentari che hanno votato «no», conformemente agli interessi delle ditte farmaceutiche, avevano ricevuto da queste ultime contributi per la campagna elettorale tre volte superiori, in media, rispetto a quelli che hanno votato «sì». Nel 2002, e prendendo in considerazione solo i democratici, i parlamentari che hanno votato «no» avevano ricevuto cinque volte più regali degli altri! Di chi sono i «rappresentanti»? Bombardati da slogan che assimilano «ricerca» e «vita», raramente ci si interroga sul legame reale tra i bisogni sociali relativi alla salute e le priorità di sviluppo di questo o quel nuovo medicinale. Le malattie tropicali non sono più all’ordine del giorno delle industrie farmaceutiche dalla decolonizzazione. Quali ricerche, indispensabili alla vita, ma che non dispongono a valle di un «mercato» sufficiente, sono sacrificate all’orgia di spese di promozione per i «blockbuster», cioè i medicinali il cui giro d’affari supera il miliardo di euro? I principali responsabili di questa deriva sono i poteri pubblici che formano i medici per poi abbandonarli a un lavoro spesso solitario, senza mezzi indipendenti per aggiornare le loro conoscenze. Va detto però che si scontrano con una lobby molto organizzata, che non esita a utilizzare l’intimidazione e il ricatto (nell’uso o nell’immissione sul mercato delle novità terapeutiche). Il paziente, da parte sua, non dispone di alcun mezzo per farsi un’opinione informata (al di fuori della pubblicità). L’eventuale legalizzazione, da parte dell’Unione europea, della pubblicità diretta nei confronti del pubblico, rischia di fare aumentare ancora di più la confusione.
L’emarginazione della componente politica (che è poi l’altro nome del «buco» della sicurezza sociale) non è irrimediabile: diverse proposte permetterebbero di coinvolgere pazienti e medici nelle scelte sulla salute – come hanno fatto, senza aspettare inviti, i malati di aids. Come prima cosa si dovranno scardinare i paletti intellettuali solidamente costruiti dalle case farmaceutiche con la pratica di garantire la carriera ai ricercatori scientifici che aprono loro i mercati emarginando gli altri, di comprare i favori o la complicità di alcuni media, di viziare i «buoni prescrittori» e diffidare dei medici «passatisti» che tendono a prescrivere buoni, vecchi medicinali sperimentati… L’industria – sistematicamente depredata dalla finanza, e con favolose riserve di contanti – fa regnare, su tutti i protagonisti, un preoccupante controllo delle opinioni. I fatti di piccola corruzione ordinaria indotta da queste pratiche hanno finito con il corrompere, a tutti i livelli, il contratto sociale relativo alla sanità pubblica.