Aids, a Parigi Mandela attacca gli Usa

Alla conferenza mondiale sull’aids il leader sudafricano rinfaccia a Washington le sue responsabilità e la sua avarizia negli aiuti ai paesi poveri colpiti. Nelson Mandela, ospite della seconda giornata della Conferenza della Società internazionale dell’aids (Ias), ha denunciato vigorosamente le «menzogne dei donatori»: ha chiesto che i «sei milioni di malati di aids» possano tutti accedere alle cure. «Dove sono i 10 miliardi di dollari?», ha chiesto Mandela, cioè la somma che secondo l’Ias è insispensabile ogni anno per permettere l’accesso alle cure di tutti i malati, la maggior parte dei quali vivono nei paesi poveri. Mandela aveva appena finito di parlare, che dei manifestanti hanno interrotto brevemente la conferenza: hanno scandito slogan a favore dell’accesso di tutti alla cure. Mandela ha applaudito e ha invitato uno di loro sul palco, per discutere, dopo aver sollecitato i politici ad agire. In seguito, Mandela ha partecipato al tradizionale garden party dell’Eliseo per la festa del 14 luglio. Qui, l’ex presidente sudafricano, invitato d’onore di Jacques Chirac. Chirac ha ricordato che nel discorso alla conferenza dell’Ias, Mandela ha «dato cattiva coscienza» ai paesi ricchi che rifiutano di impegnarsi all’altezza dei bisogni. La conferenza, che ha riunito 5mila medici e ricercatori provenienti da 120 paesi è stata attraversata da un tema: curare i malati, non solo al nord ma anche al sud, è economicamente vantaggioso. Discorso – corroborato da una serie di ricerche economiche, pubblicate per l’occasione – che smentisce clamorosamente le tesi delle case farmaceutiche, che pretendono di non voler abbassare i prezzi per i paesi a basso reddito perché affermano che in questo modo non potranno più finanziare la ricerca. I ricercatori si rivolgono ai donatori, perché finanzino il Global Fund contro l’aids, la malaria e la turbercolosi, malattie che uccidono ogni anno 5 milioni di persone e ne colpiscono altri 250 milioni, fondato dall’Onu due anni fa. L’Unione europea, spinta dalla promessa statunitense di stanziare 15 miliardi di dollari, ha promesso di fare qualcosa, ma gli impegni presi dopo Evian sono stati molto diseguali mentre la Francia ha triplicato il contributo al Global Fund. A Parigi si è discussa anche la politica dell’amministrazione Bush: certo, il Congresso ha approvato la proposta di stanziare 15 miliardi di dollari in cinque anni, ma di questi solo un miliardo al massimo andrà al Global Fund, che agisce in un contesto multilaterale e finora non ha disposto di più di 1,24 milioni di dollari. 14 miliardi saranno gestiti dagli Usa nelle relazioni bilaterali. Ciò che preoccupa sono le pressioni che Washington potrà esercitare sui paesi beneficiari, in termini di scelta dei medicinali e di politiche sanitarie (l’America compassionevole pretende la prevenzione attraverso l’astensione). Inoltre, la nomina di un ex dirigente del gruppo farmaceutico Eli Lilly, Randall Tobias, alla testa del programma Usa, la dice lunga sul ruolo che verrà attribuito alle case farmaceutiche. Questo ruolo di primo piano attribuito ai produttori di medicinali statunitensi fa pensare che Washington non abbia nessuna intenzione di sbloccare la trattativa in corso al Wto: malgrado quello che era stato promesso a Doha, i paesi che non sono in grado di produrre medicinali a partire dalle materie prime (molecole attive), non hanno ancora il diritto di importare i generici, prodotti da paesi come il Brasile, il Sudafrica o l’India. Anzi, una nuova minaccia pesa su questi paesi: a Cancun, al prossimo round del Wto a settembre, c’è la possibilità che vengano imposti i brevetti anche sulle molecole attive (cosa che impedirebbe al Brasile, che le importa, di produrre generici).