Marchi e burocrazia, la farmacia del Wto

«Un accordo inapplicabile che non salverà nessuna vita umana. Il meccanismo, troppo farraginoso, è fatto apposta per salvaguardare gli interessi delle multinazionali. Il mercato rimarrà nelle loro mani» Un intervista a Raffaella Ravinetto*«Si doveva trovare la soluzione più semplice per permettere ai paesi poveri di acquistare i salvavita, ma nella realtà si è trovata solo la soluzione migliore per assicurare il monopolio delle multinazionali farmaceutiche occidentali». Raffaella Ravinetto è tra i responsabili di Medici senza frontiere per la campagna all’accesso ai farmaci essenziali. Sull’accordo raggiunto in sede di Organizzazione mondiale del commercio a proposito di salvavita non ha dubbi: «sarà inapplicabile».

Nello specifico, cosa regolerà l’intesa raggiunta al Wto?

Se consideriamo le due fasce di paesi poveri, quelli in con capacità di produzione propria, e quelli senza, l’accordo, da molto tempo atteso, stabilisce in sostanza le condizioni per la vendita dei farmaci generici, (equivalenti generalmente meno costosi dell’originale coperto da brevetto, ndr) dei primi verso i secondi. Vale a dire regola come paesi quali il Brasile o l’India potranno produrre sia per il fabbisogno nazionale che per l’esportazione i loro medicinali e in quale modo Burkina Faso od Onduras potranno acquistarli.

Quali sono i punti che criticate?

Critichiamo l’intero testo, perché pone così tante lungaggini da bloccare la possibilità di salvare vite umane. Bisogna però fare due discorsi separati, quello legato ai cavilli burocratici messi sulla capacità di importazione e gli ostacoli posti alle esportazioni. Ad esempio il paese che vuole importare un medicinale dovrà notificare al consiglio dei Trips non solo il nome ma anche la quantità di prodotto di cui necessita. Operazione, quest’ultima molto complessa, perché richiede una capacità di previsione di questioni sanitarie notevole, che le amministrazioni dei paesi poveri non sempre hanno. I paesi candidati all’importazione devono poi dimostrare di non essere in grado di produrre da soli il farmaco richiesto. Se ad esempio l’Onduras necessita di una versione generica di un farmaco aintaids sotto brevetto per seimila persone, e si dimostra che potenzialmente ha la capacità di produrlo, gli potrebbe venire negata la possibilità di comprare quello stesso medicinale. Ma non si tiene conto che mettere su un’impresa per la produzione di piccole quantità è economicamente un suicidio. E non si capisce poi perché mai tali informazioni dovrebbero essere inviate ad un’organizzazione che si occupa di commercio e non ad esempio all’Oms (Organizzazione mondiale della sanità, ndr)…

Per quanto riguarda i paesi esportatori?

Anche questi avranno le loro gatte da pelare. La prima inutile lungaggine riguarda la necessità di un’autorizzazione (licenza obbligatoria) sia da parte del paese esportatore che da quello acquirente. Dopodiché la nazione che intende vendere il farmaco dovrà ugualmente «notificare» le quantità che intende esportare. Per quanto riguarda queste ultime, il cammino sarà ancora più complicato: le confezioni destinate a paesi terzi dovranno essere diverse da quelle per il fabbisogno interno. Ciò significa che non si potrà produrre medicinale da tenere in magazzino per le urgenze. In futuro, entrato in vigore l’accordo, se scoppiasse un’epidemia che richiedesse l’uso di un farmaco nuovo sarebbe impossibile agire prontamente. Le lungaggini burocratiche per richiedere, produrre ed esportare tale farmaco potrebbero essere troppo più lunghe del tempo di sopravvivenza dell’ammalato….

Qual è la ragione che impone tale produzione differenziata?

Ufficialmente perché si vuole evitare la re-importazione di un farmaco a basso costo. Secondo tale versione, molto improbabile, se ad esempio il Senegal acquistasse un retrovirale generico, potrebbe, una volta soddisfate le proprie necessità interne, decidere di rivendere quel prodotto ai paesi occidentali. Sul mercato del Nord ricco si troverebbe quindi il farmaco brevettato – molto costoso – in competizione con il suo corrispettivo generico, meno caro. Eventualità impossibile, dato che nei paesi sviluppati un farmaco generico non può entrare legalmente se esiste il suo corrispettivo brevettato. Ed è molto difficile che da noi si crei un mercato nero.

E quindi?

Quindi si tratta solo di un pretesto. Un modo come un altro di rendere il meccanismo più farraginoso. Tutto a vantaggio dei farmaci brevettati, che a parte il loro costo, spesso proibitivo, mantengono così una via privilegiata, anche nel Sud povero. Perché rendere economicamente insostenibile la produzione di un farmaco generico destinato all’esportazione nei paesi poveri? Perché stoppare così la competizione economica? Il motivo può essere solo uno, salvare qualche monopolio…

Un accordo discutibile, quindi. Perché alla fine è stato firmato anche dai paesi più in difficoltà?

Teniamo presente che fino alla scorsa notte c’era stata la dura opposizione di gran parte di essi. Le Filippine, ad esempio, avevano presentato la loro opposizione, dimostrando la loro incapacità di sopravvivere a tali condizioni… poi in un batter d’occhio tutto è stato superato. Non so dire perché, certamente le questioni economiche hanno avuto la meglio su quelle della salute umana. Ed è facile ricordare quali interessi hanno gli Stati uniti e Unione europea in questo settore. Comunque questo è il rischio che si corre quando temi delicati come quelli legati alla salute vengono trattati dall’organizzazione del commercio. Mi pare chiaro che ci troviamo di fronte ad un’inversione degli stessi principi sanciti a Doha: con questo accordo si stabilisce la salvaguardia delle questioni economiche, e quindi di proprietà intellettuale, su quelle umanitarie. Tanto più che oggi parliamo soprattutto di antiretrovirali, perché rappresentano la grande fetta di farmaci coperti da brevetto nei paesi ricchi, ma domani potremmo parlare di tanti altri nuovi farmaci. Di nuovi antibiotici, destinati a nuovi tipi di malattie che verranno brevettati divenendo così ancora una volta proibitivi per chi ne avrà bisogno.