LA TENTAZIONE DELLA MONOTERAPIA: OGNI FARMACO HA UNA SUA STORIA

EDITORIALE DI NADIR – La tentazione della “monoterapia” come “iper-semplificazione” o ”terapia di mantenimento” nel momento in cui una persona con HIV ha già raggiunto, da un certo periodo di tempo, carica virale non rilevabile, è quanto di più “azzardato” si è visto nell’ultimo anno tra gli studi di terapia antiretrovirale. Ma cosa abbiamo fino ad ora riscontrato? Che Kaletra e Reyataz sono due farmaci molto diversi.

Non neghiamo che siamo tutti mentalmente legati al concetto di associazione di più farmaci, ovviamente per ragioni storiche. Tuttavia la curiosità era ed è ancora presente sui “tentativi di monoterapia”.

Un recente studio evidenzia come Reyataz “non tiene” nella strategia di semplificazione con inibitore della proteasi potenziato con ritonavir. Un altro studio sullo stesso Reyataz ci aveva dato in precedenza impressioni diverse. Kaletra invece aveva fatto meglio. Ripercorriamo gli studi fino ad ora presentati, evidenziando come questa sia una “prima prova su strada” della differenza effettiva dei due farmaci in termini di “tenuta virologica”.

Kaletra (lopinavir/ritonavir)

Durante il congresso mondiale di Toronto è stata data particolare enfasi al tentativo di tornare alla monoterapia prendendo in considerazione un farmaco come Kaletra che ha vita media lunga ed alta barriera genetica. Tutti gli studi sono stati effettuati con la formulazione di Kaletra in capsule molli. Prendiamo in considerazione solo gli studi di “semplificazione, ossia quelli in cui si parte da un paziente con carica virale < 50 cp/mL. Nel dettaglio lo studio KalMo (TUAB0103) a 48 settimane conclude che su 60 pazienti pre-trattati lo ‘switch semplificativo’ da vari regimi HAART verso Kaletra monoterapia può essere efficace e ben tollerato. Lo studio terminerà a 96 settimane. Nell’unico paziente in cui si è riscontrato un aumento della viremia essa non è stata associata alle resistenze per monoterapia di LPV/r e l’intensificazione con 3TC + TDF lo ha riportato al di sotto delle 80 cp/mL. Tale strategia, suggeriscono i ricercatori, può essere applicata a chi ha problemi ad altre classi di farmaci e solo in presenza di viremia non quantificabile (da tenere in considerazione anche la storia di precedenti fallimenti). Lo studio OK04 (THLB0203), dati a 48 settimane, arruolava pazienti pre-trattati con viremia soppressa da almeno 6 mesi e già in terapia con Kaletra. Il braccio con LPV/r (89 pazienti) si è dimostrato virologicamente non inferiore a quello con terapia a tre farmaci contenente Kaletra (88 pazienti). Nel braccio in monoterapia è risultata piccola la percentuale di pazienti che ha necessitato il potenziamento con i due NRTI per mantenere la carica virale soppressa.

COMMENTO: Una sostanziale tenuta, dunque, di Kaletra monoterapia, a 48 settimane, in una strategia di “iper-semplificazione”. Non allarmanti i risicati casi di rebound virologico. Non promossa l’iper-semplificazione in termini di miglioramento delle tossicità. Questa strategia pertanto la riteniamo ancora di nicchia, forse utilizzabile solo in pazienti che non possono assumere gli NRTI. Potrebbe viceversa risultare interessante per il contenimento della spesa sanitaria, sempre che vi siano le condizioni per un monitoraggio intenso e scrupoloso e che vi sia la possibilità dello switch alla triplice in caso di rebound virologico.

Reyataz/Norvir (atazanavir/ritonavir)

Il 13° CROI mostra uno studio di dimensioni più risicate rispetto a quelli precedentemente esposti: l’ACTG 5201 (ABS108LB) contempla pazienti che erano in terapia con IP/r e che avevano carica virale < 50 cp/mL da almeno 48 settimane. 36 soggetti hanno dunque switchato verso una triplice contenente atazanavir/ritonavir (300/100 mg) per 6 settimane per poi procedere alla “iper-semplificazione” con solo ATV/r. L’obiettivo primario era la verifica di fallimento virologico (HIV RNA > 200 cp/mL) 24 settimane dopo l’iper-semplificazione. 2 soggetti si sono ritirati. Dei 34 soggetti, il fallimento si è riscontrato in solo 3 pazienti (9%) alle settimane 12, 14, 20. Il genotipo non ha mostrato resistenze agli IP. 2 dei 3 non aveva concentrazioni plasmatiche di farmaco. La conclusione degli autori rispetto a questo studio pilota era stata positiva, soprattutto perché i tre soggetti che non avevano retto erano “recuperabili” in termini terapeutici. Onestamente troppo breve il tempo preso in considerazione (confronta gli studi con Kaletra), anche per mostrare qualche cosa di significativo per le tossicità, le quali non erano obiettivo dello studio. E’ lo studio svedese su JAIDS dell’11 gennaio 2007 che invece mette in forte dubbio i risultati dell’ACTG 5201. 30 partecipanti con carica virale < 20 cp/mL da almeno 12 mesi, in HAART convenzionale, hanno subito “iper-semplificazione” con ATV/rtv 300/100 mg, con anche verifica delle concentrazioni plasmatiche del farmaco. Lo studio doveva durare 72 settimane, ma è invece stato interrotto in quanto 5/30 (20%) pazienti hanno avuto rebound virologico tra la settimana 12 e 16 di iper-semplificazione. La concentrazione sierica di bilirubina era significativamente più bassa nei pazienti in fallimento (possibile biomarker di efficacia di atazanavir?). Non si è riscontrata alcuna mutazione ascrivibile agli IP.

COMMENTO: Una “non tenuta” dunque di Reyataz potenziato con ritonavir. Due studi abbastanza simili con risultati così differenti. E’ importante sottolineare quanto detto in premessa: non tutti gli IP/r sono uguali in termine di “iper-semplificazione”. Non possiamo dunque generalizzare sulla classe (“inibitore della proteasi potenziato con ritonavir”). Ecco perché questa della monoterapia rischia di diventare un”strada pericolosa”. Ci preme sottolinearlo, nonostante sappiamo che i medici porranno sufficiente attenzione a quanto esce in letteratura in modo da non farsi prendere da “stranezze terapeutiche”.