Gli schiavi del sesso: «Trattateci da lavoratori»

Al Social Forum di Bombay 30 mila lavoratori del sesso: «E’ lavoro vero», dicono. Gli effetti della globalizzazione sul settore.Prostitute thailandesi, malesi, filippine. Eunuchi indiani. Commessi di porno shop brasiliani ed europei. Massaggiatrici indonesiane. Bambini del Bangladesh. Schiave e schiavi sessuali del primo, del secondo e del terzo mondo. Ecco assieme, per un giorno, le vittime di uno dei settori economici più redditizi e fiorenti del pianeta, l’industria del sesso. Una deviazione? Un’arretratezza della storia? Un’affiliazione della criminalità organizzata? No, hanno detto ieri migliaia di «lavoratori del sesso» durante il World Social Forum in corso a Bombay, non cerchiamo spiegazioni complicate e ipocrite: anche in questo settore quasi tutto si riduce a denaro, a business. «Il sesso è lavoro vero», è stato il lucidissimo slogan che ha trasmesso brividi a tutto il meeting dei no global.

Il corteo degli «sfruttati del sesso» – 30 mila tra cui cinquemila maschi, sostengono alcuni organizzatori – ha attraversato la cittadella fieristica in cui si tiene il Forum, nel mezzo di uno slum di Bombay, per affermare che sono la depravazione economica, la povertà, le condizioni sociali e culturali infime di una parte delle popolazioni dei Paesi in via di sviluppo ad alimentare l’offerta di sesso a pagamento che dilaga sul pianeta.

«La globalizzazione ci colpisce duramente», era scritto su uno striscione sostenuto da lavoratori di un porno shop belga. Il fatto è – corre la denuncia – che l’apertura delle frontiere, i sistemi di trasporto e di comunicazione sempre migliori hanno trasformato il settore da qualcosa che si misurava a piccola scala, a livello locale, in una grande industria globalizzata. Il quartiere a luci rosse, ormai, è planetario.

Il turismo sessuale in Asia e in America Latina, i movimenti migratori spinti dalla prostituzione, il fiorire spesso illegale dell’industria del porno, il boom incredibile del sesso su Internet hanno fatto fare un salto di qualità straordinario al settore. Certo, esiste la criminalità organizzata che fiorisce attorno a prostituzione, pedofilia, tratta delle donne. Ma in gran parte – è stato affermato ieri – i «lavoratori del sesso» scelgono questa strada per ragioni economiche. Affermazione corroborata da una ricerca dell’Ilo, l’Organizzazione mondiale del lavoro: la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali svolge questa attività per mantenere famiglia e figli.

Risultato, si può stimare che l’industria globale del sesso fatturi ogni anno tra i 120 e i 200 miliardi di euro, a seconda delle «voci» che vi si fanno confluire: il doppio del Prodotto interno della Nuova Zelanda o della Grecia, tanto quanto quelli della Norvegia e della Polonia. Un business, inoltre, tra i più redditizi, in parte perché sommerso e quindi non tassato, in parte perché i «consumatori» sono disposti a pagare cifre molto alte, in parte perché le lavoratrici e i lavoratori del settore sono sfruttati: per avere un’idea, l’Ilo calcola che su Internet – dove nei settori tradizionali ben pochi guadagnano – la pornografia abbia margini di profitto attorno al 30%.

Di fronte a questo quadro gli «sfruttati del sesso» che sono arrivati a Bombay hanno chiesto che il settore sia considerato dai governi come uno tra gli altri, con regole, riconoscimenti e politiche di informazione sui rischi alla salute che corrono i «lavoratori del sesso». I cortei – organizzati da Rainbow Planet, Pianeta Arcobaleno – hanno sfilato mostrando gadget utili a proteggersi dalle malattie veneree e dall’Aids e hanno chiesto campagne d’informazione.

Il movimento è andato però oltre. Ha chiesto che l’India abolisca una legge risalente al periodo coloniale britannico che punisce con sette anni di carcere l’omosessualità. E le organizzazioni femministe che appoggiano le manifestazioni hanno denunciato l’uso sempre più massiccio del corpo femminile a scopo di lucro, dai concorsi di bellezza alla pubblicità commerciale. La tesi è che la globalizzazione – origine dei peggiori mali del pianeta nelle analisi dei partecipanti al Social Forum anche di quest’anno – «trasforma le donne in materie prime».