FERMATI GLI STUDI DEL VACCINO ANTI HIV/AIDS DELLA MERCK

“Non efficace”. Questa la ragione dell’interruzione dello studio STEP, che voleva verificare appunto l’efficacia del candidato vaccino della Merck su 3000 persone senza HIV. Come conseguenza, anche l’interruzione di un altro studio di fase II (chiamato Phambili) e due studi di fase I con lo stesso candidato vaccino.Il candidato vaccino della Merck è un misto di 3 componenti, ognuno dei quali era fatto da una versione indebolita del virus “adenovirus 5” che serviva come portatore o vettore di 3 geni di HIV, ossia gag, pol, nef.

Le analisi preliminari dello studio STEP sulla metà del campione (1500 persone), per le quali addirittura ci si attendeva una risposta migliore in quanto avevano bassi livelli pre-esistenti di “adenovirus 5”, ha portato a 24 casi di infezione tra i 741 volontari che hanno ricevuto il vaccino contro 21 casi di infezione tra i 762 volontari che hanno ricevuto il placebo. Simili numeri e proporzioni anche se si analizzano le persone che hanno ricevuto più immunizzazioni. Quindi, l’obiettivo di prevenzione dell’infezione non è stato raggiunto. Anche il secondo “obiettivo”, ossia quello di riduzione della carica virale ematica nei soggetti vaccinati rispetto ai placebo, in coloro che si sono infettati, non è stato raggiunto: stessi valori di viremia.

COMMENTO

Purtroppo non si riesce ad essere più delicati:”un fallimento totale su tutti i fronti”. Ovviamente forte è il dispiacere tra la comunità di persone con HIV/AIDS, tra le persone coinvolte dal problema e nel mondo scientifico. Notizie così forti sono tristi e lasciano sempre molta amarezza, non solamente tra il gruppo dei ricercatori della Merck, ma anche tra tutta la comunità scientifica internazionale.

Un momento di riflessione però è d’obbligo. In questa sede, appare quanto mai appropriato riproporre un articolo scritto da Simone Marcotullio sul numero 36 di Delta, bimestrale di informazione sull’HIV edito da Nadir Onlus.

VACCINO PER L’HIV/AIDS: IL CONTO ALLA ROVESCIA NON PARTE…

10 anni dopo che l’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton aveva previsto l’arrivo di un vaccino per l’AIDS, non ci resta che dire:”nulla di fatto!”. Le perplessità a riguardo sono sempre più forti. Raggiungeremo mai questo obiettivo? Perché è così difficile? Forse… qualcuno dice… è impossibile!

Un paragone abbastanza simile all’avventura di trovare un composto vaccinale che, se iniettato preventivamente, possa impedire all’infezione da HIV di fare danni devastanti al sistema immunitario, o inibendone completamente la proliferazione e l’integrazione nel corpo, o “modulandone” l’infezione in modo tale che l’aggressione virale sia più controllabile, potrebbe essere quello di quando, nel luglio del 1969, l’uomo atterrò sulla luna. Si passarono tutti gli anni ’70 a immaginare città sul nostro satellite e il raggiungimento di altre mete più ambiziose come marte; gli autori di fantascienza proliferarono come funghi, quasi che la fantascienza venisse a coincidere con la “storia predittiva”. Sta di fatto che, dopo quasi trent’anni, non solo non ci sono città sulla luna, ma di andare a vivere su marte non interessa più a nessuno.

Perché è così difficile?

Tanti errori, alcuni ingenui, altri no. Che le varianti genetiche individuali della singola persona infetta con HIV siano tantissime è un dato che lo sappiamo sin dall’inizio. Così come l’esistenza dei vari ceppi di HIV. L’idea di cercare un “minimo comune denominatore protettivo, anche parzialmente” è molto complessa: chi si è concentrato sulle proteine esterne del virus, chi su quelle interne, chi su quelle regolatorie, ossia prodotte durante le fasi di replicazione. Se sono ammissibili errori di “direzione scientifica di ricerca” per un certo periodo, tuttavia tali errori vengono ancora percorsi. L’ingenuità dell’errore iniziale è perdonabile, vista la difficoltà della materia, tuttavia l’investimento della quantità di risorse economiche che ancora permane su strade “dubbie” è un fatto allarmante e sospetto. Ancora oggi infatti potenti lobby economico-finanziarie investono in strade di ricerca che si sono dimostrate improprie. Ma dove sono finiti gli attivisti? Quelli che scesero nelle strade per ottenere i farmaci? Il fallimento della capacità critica dell’attivismo di contribuire concretamente alla spartizione equa delle risorse per le differenti strategie scientifiche è un dato incontestabile. E nel frattempo le persone continuano contagiarsi.

Come non interessa più a nessuno di andare a vivere su marte, così anche all’attivismo non interessa più di contribuire in modo forte ed energico a “convogliare le risorse verso strade nuove ed innovative”. Gli Stati Uniti, in questo, sono maestri. Continuano ad “errare nell’errore”, pur consapevoli “dell’errore nell’errare”. E la coscienza critica della società, l’attivismo appunto, sembra completamente assente o addirittura spettatore consapevole di tutto ciò o, peggio, alleato di quello o quell’altro macro-consorzio di ricerca in modo “non critico”. Assistiamo al paradosso che alcune strategie impiegano anni a fare piccoli studi di fase I in quanto “sotto-finanziate”, mentre altre di oltre oceano, fallimentari in fase di esordio, sono “iperfinanziate”. E nel frattempo si costruiscono “alleanze globali fasulle”, dipinte ad opera d’arte come “neutre e scientifiche”, per continuare, per altri 10 anni, questa assurdità.

Che cos’è il ‘vaccino terapeutico’?

E’ quanto di più ideologicamente ingegnoso è stato concepito nel settore HIV/AIDS. La ricerca di un composto che, agendo in qualche modo sul sistema immunitario della persona con HIV/AIDS, consenta un rallentamento della progressione della malattia attraverso il controllo della replicazione virale e/o il potenziamento del sistema immunitario. L’idea di poter sospendere con sicurezza l’assunzione di farmaci antiretrovirali è allettante, ma, anche in questo campo, l’avanzamento della scienza, in particolare dell’immunologia, è a ritmi imbarazzanti, simile alla costruzione delle grandi opere in Italia. Sono oltre una ventina le strategie sperimentate in fase precoce, talvolta simili a quelle dei composti preventivi. Alcuni sonori fallimenti hanno rallentato l’entusiasmo, tuttavia numerosi esperti ritengono che sarà più facile ottenere questo tipo di composto che quello preventivo.

Conclusioni: un pessimismo “crepuscolare”

Come i poeti crepuscolari evitano la proiezione verso il futuro e non intendono magnificare le forze del mondo, ma elevano a materia della loro poesia la vita quotidiana nei suoi più dimessi e banali aspetti, cercando solamente tranquillità e rifugio, così le persone con HIV/AIDS, come quelle che vivono in contesti in cui la cultura della prevenzione del virus è difficile a realizzarsi, hanno bisogno di poche, ma certe, speranze.