Accuse al fondo globale per la lotta alla malaria

Il Fondo Globale per la lotta ad Aids, tubercolosi e malaria e l’Organizzazione Mondiale della Sanità promuoverebbero interventi terapeutici inefficaci nella lotta alla malaria provocando la morte di migliaia di persone, soprattutto bambini.La denuncia, firmata da ricercatori e docenti di istituzioni scientifiche di tutto il mondo e lanciata dalle pagine di “The Lancet” del 17 gennaio scorso, si riferisce all’impiego di farmaci oramai diventati inutili come la clorochina, la sulfadosssina e la pirimetamina. Che vengono preferiti alla terapia combinata a base di artemisinina (Act, artemisinin-class combination therapy), farmaco ricavato dalla pianta cinese Artemisia annua, solamente perché più economici. Abbiamo chiesto a Gianfranco Di Maio, responsabile medico di Medici Senza Frontiere (Msf) – Italia, di chiarire quali sono le differenze sostanziali tra le due terapie.

Nell’articolo di “The Lancet” non si va per il sottile: decine di migliaia di bambini potrebbero essere salvati se curati con i farmaci giusti. È veramente così?

“Questa volta non si usano mezzi termini. L’accusa è quasi di omicidio colposo e noi di Msf condividiamo le ragioni di questa denuncia. Si continuano a finanziare progetti di terapie inutili e a puntare sulla prevenzione, quando sappiamo perfettamente che non è così che si risolve il problema. Ben vengano le zanzariere con il Ddt lanciate dalla campagna dell’Oms contro la malaria per il 2004, ma non sono sufficienti per sconfiggere una malattia che provoca da uno a due milioni di morti l’anno. Il 90 per cento in Africa e il 90 per cento bambini”.

Quali sono le popolazioni africane maggiormente esposte alla malattia? E quali i soggetti più a rischio?

“Sono quelle che vivono nelle regioni umide a sud del Sahara. È qui che trova il suo habitat ideale la zanzara Anopheles responsabile della trasmissione del Plasmodium falciparum, il parassita che provoca la forma più grave della malaria, quella che determina il maggior numero di decessi. Le popolazioni del nord invece sono esposte alla forma meno acuta causata dal Plasmodium vivax. L’Anopheles non vive in zone con temperature inferiori ai 18°, per cui la gente che abita in montagna è esente dal contagio. Ma corre a volte un rischio maggiore visto che spesso è costretta per vari motivi a migrazioni forzate in zone calde e umide. Queste persone non avendo acquisito quella sorta di premunità data dal contatto con il parassita, sono più esposte delle altre. È la stessa ragione per la quale i bambini sono tra i soggetti più colpiti”.

Quali sono le terapie oggi in uso per combattere la malaria?

“Purtroppo si continua a proporre la clorochina per combattere il Plasmodium falciparum, nonostante sia oramai diventata inefficace. Intorno agli anni Sessanta infatti nel Sud-est asiatico si svilupparono i primi ceppi resistenti al farmaco che sono poi cresciuti esponenzialmente. Secondo le disposizioni dell’Oms se un farmaco incontra una resistenza superiore al 25 per cento si deve ricorrere a un altro prodotto. In Kenya siamo intorno al 64 per cento e in Burundi al 90 per cento”.

Che altre terapie esistono? Su cosa si basa la loro efficacia?

“L’errore consiste nel voler puntare sulla monoterapia, quando oramai, come per l’Aids, si è capito che la soluzione è data da terapie combinate. Il protozoo responsabile dell’infezione segue un ciclo vitale, si modifica e si mimetizza. Se usiamo il farmaco che agisce in un unico punto del suo ciclo e i ceppi resistenti riescono a superare quell’ostacolo, non abbiamo più possibilità di bloccarne l’avanzata. Ma se usiamo una terapia combinata piazzando delle ” trappole chimiche” in luoghi diversi, la probabilità di avere successo aumenta. E la terapia combinata più efficace si è rivelata quella a base di artemisinina, farmaco ricavato dalla pianta cinese Artemisia annua, usata nella medicina tradizionale, che ha già di per sé una doppia azione: ossia è sia schizonticida che gametocida (interviene cioè nei due cicli della riproduzione del protozoo)”.

Quindi converrebbe dire addio alla clorochina…

“Per combattere il Plasmodium falciparum ci sono solo due luoghi nel mondo dove la clorochina è ancora efficace: i Caraibi e Haiti. Mentre tuttora noi usiamo la clorochina insieme al chinino nei casi di malaria da Plasmodium vivax che non è letale. Per fortuna possiamo contare su test rapidi (paracheck) capaci di individuare il Plasmodium falciparum e quindi ricorrere alla cura efficace”.

Veniamo ora al problema dei costi…

“La terapia a base di artemisinina costa 1,5$ contro i 10 centesimi delle altre terapie. Sono spese che paesi poveri come quelli africani non si possono permettere. Fino al 2005 potranno rivolgersi all’India, che però entro quella data dovrà adeguarsi alle regole internazionali (gli accordi TRIPS) sui brevetti che le impediranno di produrre, salvo che per il consumo interno, farmaci a costi più bassi del mercato. Resta la possibilità di rifarsi alla Dichiarazione di Doha del 2001 che sancisce il diritto per i governi nazionali di affrontare le emergenze sanitarie potendo importare fino al 2016 farmaci a basso costo. Ma sono soluzioni comunque provvisorie. Il problema va affrontato a livello politico. Finché Usa e Gran Bretagna continuano a considerare i farmaci a base di artemisinina come farmaci di seconda linea, ossia da somministrare solo dopo aver tentato altre terapie, la situazione sarà difficile da sbloccare. Noi confidiamo molto sull’azione di convincimento che Msf svolge nei confronti dei consulenti scientifici dei governi. In Italia per esempio abbiamo trovato disponibilità all’ascolto”.