AASLD/2017: Report dalla Conferenza

Anticipazione di Delta 80: studi sulle combinazioni, nuovi aspetti della cura funzionale, linkage to care.

Solo un anno fa, pur con varie opzioni terapeutiche efficaci, ci si chiedeva chi avesse accesso alla cura per l’epatite C e se un risultato del “fibroscan” fosse il giusto separatore tra chi ha diritto alla terapia e chi deve restare in attesa. Oggi è più semplice: la cura per l’HCV vede la priorizzazione di pazienti cirrotici, con fibrosi e di portatori di co-patologia, grazie al piano di eradicazione impostato dall’AIFA. La scienza, dal canto suo, ha scoperto farmaci pan-genotipici e lavora per trovare cure più brevi, mentre sta già mostrando i vantaggi della cura precoce.

Al “The Liver Meeting” di quest anno, i ricercatori hanno dato risposte alle domande che sorgono di fronte ad una vasta offerta di farmaci e terapie, mentre i sistemi sanitari delle regioni italiane anche in questo settore hanno il fiato corto a correre al passo della scienza: solo negli ultimi mesi si stanno adeguando alle esigenze di salute del fegato.

STUDI SULLE COMBINAZIONI

Glecaprevir/Pibrentasvir (Maviret), il nuovo composto orale di Abbvie da assumere per 8 o 12 settimane, conferma la scomparsa del virus in presenza dei genotipi dall’1 al 6. La risposta alla terapia è stata in tutti i genotipi del 98% (media tra il 97 e il 100%) dopo 12 settimane di terapia con lo studio su 2200 pazienti naive e pretrattati con o senza cirrosi compensata. Il farmaco, approvato per la somministrazione a 12 settimane nei pazienti senza cirrosi ha confermato il successo con 8 settimane di cura: non si è riscontrato alcun beneficio aggiuntivo nel prolungarne il periodo. Non si sono riscontrati effetti collaterali gravi, ma una percentuale di persone in terapia tra il 10 e il 19% ha riferito mal di testa, stanchezza e nausea.

La coformulazione JNJ-4178, composta da AL-335, odalasvir, simeprevir, studiata nell’ OMEGA1, ha confermato efficacia virologica 12 settimane oltre la cura nei genotipi 1, 2, 3, 4, 5, 6. Lo studio ha incluso 365 persone trattate con IFN, in fallimento terapeutico, senza cirrosi, tra i 18 e i 70 anni di età randomizzandole a 6 o 8 settimane di terapia (abs 65). I resultati interinali permettono di studiare la riduzione delle settimane di terapia.

I dati della coorte tedesca GECCO (abs 63) hanno fornito un interessante risultato sui 139 pazienti che hanno utilizzato ribavirina in aggiunta a Vosevi (SOF/Velpatasvir) in presenza di genotipo 3. Il successo terapeutico si riscontrato nel 100% di coloro che non avevano cirrosi, mentre in quelli cirrotici il successo si è avuto nell’83%. I dati della vita reale sono stati analoghi a quelli degli studi clinici approvativi.

Non ammessi al nostro cospetto

La ricerca continua a fornire dati molto positivi (le risposte virologiche sono sono del 100%, abs 196) sulle combinazioni di ledipasvir/sofosbuvir e di daclatasvir/sofosbuvir che però sono stati eliminati dal prontuario in Italia. Nel braccio di ferro sul prezzo, tra aziende e autorità, gli unici a perdere sono i portatori di patologia cui viene tolta un’opportunità terapeutica.

NUOVI ASPETTI DELLA CURA FUNZIONALE

Qualità della vita: nello studio osservazionale su 3486 persone l’analisi multivariata ha rilevato dopo 144 settimane dalla terapia efficace contro l’HCV un livello di buoni parametri di qualità della vita, che superano quelli della popolazione generale, mostrando valori di ansia, depressione, astenia, insonnia e incidenza di danni cerebrovascolari minori (abs 64). Questi risultati di per sé confermano l’urgenza, l’utilità e la sostenibilità di un piano nazionale di cura per l’HCV.

Pazienti con co-patologie o più vulnerabili: E’ stata data molta enfasi a queste persone. Vari studi hanno mostrato che anche con malattia renale le nuove terapie non solo sono efficaci, ma diminuiscono il danno al rene prevenendo il 50% dei trapianti (parallel 29, abs 197).

Stesso valore aggiunto per il miglioramento di ansia e depressione. La popolazione che fa uso di sostanze, pur ottenendo risultati di cura uguali ai monoinfetti, ha un’incidenza di fallimenti post terapia che si può attribuire all’esposizione continuata al rischio. Appare necessario, in presenza di epatite C, che insieme alla terapia sia effettuato un counselling adeguato per prevenire fallimenti o re-infezioni. Negli USA sono in aumento le persone con dipendenza dagli oppiacei e quindi il problema dei fallimenti è di particolare importanza.

Si conferma il ruolo della cura anche per prevenire il carcinoma (Sessione 1). Il Policlinico di Milano (abs 77), dopo aver analizzato 565 pazienti cirrotici due anni tra il 2015 e il 2016, ha osservato la diminuzione di nuovi tumori al fegato nei pazienti curati con la DAA. Anche la coorte americana dei veterani (abs 76) ha confermato che dei 15 mila pazienti con malattia epatica avanzata, la percentuale di nuovi epatocarcinomi è inferiore tra coloro che dopo la cura DAA hanno avuto una risposta virologica sostenuta, a prescindere dal genotipo HCV.

Linkage to care

Due studi inglesi richiamano l’attenzione sulle possibili difficoltà dei centri clinici di mantenere il collegamento con i pazienti che scoprono la propria positività all’HCV in caso di ritardato accesso in terapia o in luce agli svariati stili di vita: VirA&miC (poster 20/10, Public Health England) sostiene che le modalità sono varie, una di esse è quella con sistemi elettronici: questo progetto pilota sostiene che si riesce a mantenere il 95% del contatto con i pazienti più vulnerabili, senza tetto e quelli con forti barriere linguistiche.

L’altro studio, del gruppo SERFAN (Belgio, USA, UK) sottolinea che per raggiungere gli obiettivi dell’OMS di eradicazione della malattia nel 2030, debbono essere effettuati appropriati investimenti nello screening e nella terapia (poster 1077): con un budget di 240 milioni di euro, da dedicare annualmente a diagnosi, cura e follow up, l’HCV entro il 2025 sarebbe debellato e con la dinamica della Treatment Cascade versus la strategia di eliminazione si otterrebbe un risparmio di 200 milioni di sterline, mentre con quest’ultima, pur riducendo i costi annuali, da qui al 2025 vi saranno sempre nuovi casi di HCV che si presentano con fibrosi.