Francia, si dimette la metà degli scienziati

E’ sempre più aspro lo scontro tra governo e ricercatori. Contro i tagli, un migliaio di direttori di laboratorio hanno rassegnato le dimissioni. Ieri a migliaia sotto al ministero e venerdì scioperano scuole e università.Terremoto nella ricerca scientifica pubblica francese. Ieri, alla conclusione di una folta assemblea che si è svolta nel salone delle feste dell’Hotel de ville di Parigi (la Sorbona non era stata loro concessa), più di 2mila responsabili della ricerca (976 direttori di unità e 1.110 capi di équipe) hanno deciso di dimettersi dalle loro responsabilità amministrative: è quasi il 50% del totale. Invieranno, ognuno di loro, una lettera di dimissioni ai rispettivi istituti, per dire che «assumersi la responsabilità di una unità di ricerca nelle condizioni attuali significa consentire a un abbandono inaccettabile della ricerca pubblica».

Una bomba politica, a dieci giorni dal primo turno delle regionali, mentre secondo un sondaggio l’82% dei francesi approva l’azione degli scienziati. La petizione Salviamo la ricerca è stata firmata da 65mila ricercatori e le dimissioni dalle cariche amministrative comporteranno, a breve, la paralisi dell’attività dei laboratori di ricerca. Le dimissioni potranno essere respinte, ma in questo caso i direttori hanno già deciso di dichiarare uno sciopero di queste stesse funzioni amministrative. Hanno lanciato un ultimatum al governo: se per il 19 marzo non avranno ricevuto una risposta soddisfacente, bloccheranno l’attività dei laboratori.

Il governo non intende cedere. Il primo ministro, Jean-Pierre Raffarin, in un’intervista a Libération, reagisce «con tristezza» e dice di non auspicare che «la fama scientifica internazionale della Francia venga così indebolita», ma aggiunge di rifiutare «un mercanteggiamento alla giornata» con gli scienziati che reclamano maggiori finanziamenti e le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato. L’Ump, il partito di Chirac, ha denunciato ieri «le feudalità che fanno passare gli interessi del gruppo davanti agli interessi della nazione». Affermazioni respinte dai ricercatori. «Come può permettersi di dire che siamo in un mercanteggiamento alla giornata? – afferma Axel Kahn, genetista di fama mondiale, direttore dell’istituto Cochin – Queste affermazioni provocatrici hanno avuto il solo effetto di stimolare anche i meno convinti a dimettersi».

Quindicimila giovani ricercatori si sono riuniti ieri sotto le finestre dell’Hotel de ville, in attesa della decisione dei direttori e prima di partire in corteo verso il ministero della ricerca. «A breve, saremo dipendenti dagli Usa e dal Canada, cioè dai paesi che finanziano la ricerca», afferma una di loro, che dichiara l’intenzione di andare a lavorare in Nord America. Alain Trautmann, dell’Istituto Cochin, che ha lanciato la petizione Salviamo la ricerca, afferma di non credere per nulla alle promesse del governo degli ultimi giorni, 3 miliardi di euro in tre anni. «Per il momento – dice un matematico – abbiamo bisogno di posti freschi, ivi comprese le università dove, solo nel 2004, perderemo il 22% dei posti in matematica».

Ieri, i ricercatori, oltre alle dimissioni di massa e la decisione di inviare un appello al presidente Chirac che ha promesso il 3% del pil per la ricerca, hanno anche deciso di convocare autonomamente degli «stati generali della ricerca», rifiutando così di partecipare a quelli promessi in tutta fretta dal governo alla vigilia delle dimissioni. Quattro scienziati di fama mondiale – due premi Nobel, François Jacob e Jean-Marie Lehn, una «medaglia Fields» e il direttore generale dell’Istituto Pasteur – pubblicano oggi su Le Monde un documento dove fanno un’analisi critica sul funzionamento della ricerca in Francia e avanzano alcune proposte per «uscire dalla crisi dall’alto» (Nerf, nervo, Nouvel Essor à la Recherche Française). Il Nerf propone una rifondazione della struttura della ricerca, che senza rinnegare il modello francese (il posto fisso) a favore di quello anglo-sassone (contratti a termine ma ben finanziati), permetta di premiare l’«eccellenza» e di favorire gli avanzamenti di carriera dei migliori. Ma per fare ciò, tutti i ricercatori sono d’accordo: è necessario non lasciar fuggire all’estero i cervelli, che dopo una costosa formazione in Francia contribuiscono al progresso della scienza negli Usa perché non trovano un posto in patria.

La scintilla che ha fatto esplodere la protesta è stata il rifiuto del governo di assumere a tempo indeterminato, come era previsto, 550 giovani ricercatori. Ma la lotta per i finanziamenti e per i posti nasconde, in realtà, una protesta più ampia, che riguarda la struttura, l’organizzazione della ricerca pubblica, che in Francia è centrale (su 160mila ricercatori, 100mila sono nel settore pubblico). Università, organismi di ricerca come il Cnrs, l’Inserm (ricerca medica), l’Inra (ricerca agronomica) ecc., grandi scuole, si sovrappongono, senza che il ministero riesca a dare coerenza al sistema. Venerdì ci sarà una giornata di sciopero nazionale nella scuola superiore e nelle università.