Un ministero disinformante e omofobico

Quest’anno la ricorrenza del 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids, è stata segnata da una sgradevole novità: per la prima volta dagli anni `80 il ministero della salute ha deciso di escludere i gay dalla campagna di prevenzione dell’Aids. Il rapporto fra la comunità gay e il ministero della salute non è mai stato roseo. Nel gennaio del 1987 Donat Cattin affermò che «l’Aids lo prende chi se lo va a cercare. «Un virus non ha morale» fu lo slogan con cui Arcigay chiese, insieme alle dimissioni del ministro dc, una politica sanitaria libera da pregiudizi sessuofobici. Da allora il supporto delle organizzazioni gay alle campagne ministeriali, necessario per raggiungere in modo capillare la comunità, era stato accettato ma non senza un braccio di ferro sui contenuti e sui modi. «Gli opuscoli devono parlare di Aids, non di sesso» ammonivano i funzionari del ministero.

Lungo quei faticosi anni il rapporto fra la comunità gay e il ministero non si interruppe, ma fu segnato dai condizionamenti etici di oltre Tevere. Non si sottrasse a questa logica il ministero Bindi, che si rifiutò anch’esso di fornire preservativi per la distribuzione gratuita, come avviene in tutta Europa.

Solo con l’avvento di un laico, Umberto Veronesi, le ragioni della salute avranno la meglio su quelle del pregiudizio. Nel 1991 il ministro De Lorenzo aveva escluso i gay in quanto tali dalle donazioni, alimentando la confusione pseudoscientifica fra comportamenti e categorie a rischio. Nel 2001 Veronesi modificò quel decreto secondo le indicazioni del parlamento europeo che chiedeva di sostituire il riferimento all’identità omosessuale con quello ai comportamenti a rischio. Finiva così un decennio di diffamazione contro i gay, additati come soggetti in sé contagiosi.

Tuttavia un monitoraggio su quel decreto mostrava che esso veniva disatteso dall’Ospedale Maggiore di Milano. La spiegazione fornita era strabiliante: nell’aprile 2001 il primario del Centro trasfusionale dell’ospedale aveva chiesto chiarimenti al ministro per la salute sul nuovo decreto, decidendo di sospenderne l’applicazione in attesa della risposta. Il nome di quel primario era Girolamo Sirchia. Il ministro della salute che avrebbe dovuto rispondergli era Girolamo Sirchia. Iniziava così una nuova era e per i gay aumentavano i guai.

L’opuscolo di Sirchia e Moratti su amore e salute distribuito nelle scuole italiane non contiene un solo riferimento all’amore omosessuale. Agli adolescenti italiani si dice che lo strumento per proteggersi dal contagio è l’astinenza. Il preservativo viene citato come strumento poco sicuro di prevenzione.

E così si arriva alla situazione attuale. Gli omosessuali basino la loro prevenzione su quella signorina con un cappellino che a qualcuno (i più smaliziati? i più ingenui?) potrebbe ricordare un profilattico. O su quello slogan assurdo («Avete Idea Della Sofferenza?») a cui le associazioni della Consulta del volontariato per i problemi dell’Aids (dalla Lila a San Patrignano, da Arcigay alla Caritas) ne hanno sostituito un altro. «Avete Idea del Diritto alla Salute?» si chiama l’appello che chiede che ai detenuti affetti da Hiv/Aids siano garantiti il diritto alla cura e all’assistenza sanitaria, messi a rischio dalla riduzione dei fondi per la salute in carcere (meno 30% in tre anni) e del personale sanitario. «Avete Idea della Sicurezza?» è, invece, lo slogan della campagna di Arcigay, in cui preservativi e fiori in salute sostituiscono il mazzetto avvizzito ministeriale.

Intanto dagli Stati uniti arrivano notizie poco confortanti sul numero dei nuovi contagi (un dato non disponibile da noi): più 17% negli ultimi tre anni fra i gay. Il messaggio per gli omosessuali italiani, comunque, è chiaro: la guerra è finita, tutti a casa a brindare. Purtroppo così non è. Il numero dei nuovi casi di Aids dovuti a rapporti sessuali fra maschi è calato (dagli 8/900 casi l’anno degli anni `90 ai 200/250 degli ultimi anni) insieme al numero complessivo dei casi notificati in Italia (dai 5651 del `95 si è passati ai 1774 dello scorso anno).

Rimane tuttavia un dato percentuale (il 18%) mai raggiunto prima. Niente di paragonabile all’aumento percentuale dei casi provocati per via eterosessuale (dal 10 al 41% in poco più di dieci anni) ma niente che giustifichi un abbassamento della guardia.La prevenzione è bloccata, le nuove infezioni no. Silenzio uguale morte, ammoniva un famoso slogan delle organizzazioni gay negli anni `80: quella massima vale ancora.

Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay